sabato 13 giugno 2015

LA CHIESA DEL CORPUS DOMINI A BRESCIA

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La chiesa Santo Corpo di Cristo (o del Corpus Domini) si trova in Via Piamarta, poco lontano dal Monastero di Santa Giulia: è la prima chiesa al mondo dedicata esclusivamente all’Eucarestia. L’edificio, eretto nella seconda metà del Quattrocento, fa parte dell'ex-convento dei Gesuati.
Sulla facciata, assai bella e ornata da archetti in cotto e da tre pinnacoli, spicca uno splendido portale di marmo, in puro stile rinascimentale. L’architrave, sul cui centro troneggia un busto di Cristo, è sovrastata da una lunetta in pietra affrescata.
L'interno, ristrutturato nel Seicento, si presenta a navata unica, con tre cappelle laterali. Fra le opere d’arte che la chiesa conserva, si ricordano gli affreschi di Benedetto Marone e – ai lati del presbiterio - i quattro affreschi attribuibili a Paolo da Caylina il Vecchio o a Gerolamo da Brescia: Madonna col Bambino tra San Rocco e San Cristoforo; San Gerolamo genuflesso nel deserto; Vergine seduta col Cristo morto in grembo; Vergine col Bambino e San Pietro. Notevole la volta a stella, da poco restaurata, che comprende un ciclo di affreschi con i dodici apostoli.
Pregevoli sono i tre chiostri di epoca rinascimentale: uno di questi presenta l’atrio decorato da Pietro Marone, e il refettorio impreziosito da due affreschi del Romanino.

Affrontata l'erta salita e varcata la soglia si è avvinti da muto e ammirato stupore, avvolti da una festa di figure e colori che si dispiegano dalle pareti al soffitto. Si percepisce all' istante di trovarsi di fronte a un ciclo pittorico di notevole vastità, un vero compendio di teologia popolare sul modello delle note biblia pauperum del Medioevo, un unicum giustamente definito come la Cappella Sistina di Brescia: in effetti la volumetria dell'interno, il contro soffitto a costoloni con le pareti completamente affrescate e il motivo dominante del Giudizio Universale sull' arco trionfale fanno rimandare al più celebre capolavoro michelangiolesco.

La chiesa e il relativo convento vennero costruiti a ridosso del Teatro Romano in pieno centro antico sull'area di due preesistenti edifici sacri ancora in sito nel XV secolo: la Chiesa di S. Pietro in Ripa, dove abitarono i monaci di S. Agostino e più tardi le canonichesse dello stesso Ordine; e la cappella di S. Bartolomeo con probabili tracce negli scantinati sotto il cortile.

Non conosciamo la data esatta dell' inizio dei lavori di costruzione, però è possibile fissarla ufficialmente dal 1467, anno di apertura del cantiere, fino al 1473 data della morte del conte Antonio Martinengo.

Dall' Archivio Segreto Vaticano risulta questa testimonianza: "Il monasterio di Noi PP. Gesuati di ST. Girolamo di Bressia situato dentro alle muraglie et cinto d' essa chiesa, fu fondato l' anno della comune salute 1467 il mese di novembre".

Orientata in senso nord-sud (contrariamente al tradizionale est - ovest) ha richiesto lo scavo di alcuni metri nella collina per fare posto all' abside, situata due metri sotto il livello del terreno. La conformazione del luogo non consigliava il tradizionale orientamento est-ovest, lo esigevano pure ragioni di prospettiva con la direttrice di via Piamarta - via Veronica Gambara.

Resta ancora sconosciuto il nome dei mastri-costruttori dell' edificio. Sappiamo che negli anni 1460-78 erano operanti nelle vicinanze Filippo delle Vacche e Giovanni del Formaggio per l' incarico ricevuto dall' ultima badessa a vita Elena Masperoni di costruire un coro per le Monache in S. Giulia.

E' questa una struttura di sicuro linguaggio rinascimentale nei tre archi romani (con citazione dall' Alberti del S. Andrea di Mantova ) una grande novità per quel tempo "tra le più rivoluzionarie manifestazioni della architettura lombarda in quegli anni" (A. Peroni). Nel 1483 Filippo collaborò tra l' altro alla trasformazione del trecentesco monastero di San Francesco con Antonio Zurlengo. Un altro importante mastro, Bernardino da Martinengo ( 1440-1504), viene citato per la chiesa del Carmine, il coro del Duomo Vecchio e Santa Maria degli Angeli di Gardone val Trompia.

Non è necessario cercare tra i nomi più conosciuti del tempo in quanto i Gesuati erano esperti in arti e mestieri, (famosa la vetreria a Firenze su disegni del Perugino) e quindi anche nella muratura, per cui possiamo pensare che abbiano fatto tutto "in casa" nella progettazione-costruzione dell' edificio.

In effetti San Cristo risente degli influssi del momento ponendosi tra gotico e rinascimento, come tanti edifici bresciani della fine del '400, in questo clima di fervore costruttivo agevolato dalla Serenissima, intenzionata a rimodernare la città con edifici in pietra dopo il lungo periodo di guerre con i Visconti seguite da carestie e pestilenze.

La presenza dei primi vescovi veneti Pietro del Monte, Bartolomeo Malipiero e soprattutto Domenico de Dominici (…- 1478) legato alla cultura di papa Eugenio IV, del card. Antonio Correr e di Ludovico Barbo porta una ventata di rinnovamento religioso. Le predicazioni di autorevoli esponenti di ordini religiosi da S. Bernardino al Savonarola al Capestrano spingono la popolazione e in particolare la nobiltà in una gara di generosità tale che a un certo punto la Serenissima si mostra preoccupata per lo spazio sempre meno disponibile per le attività produttive dentro le mura cittadine.

Più tardi sotto il papato di Alessandro VI Borgia e la presenza dei vescovi nepotisti Lorenzo Zane e quella lunghissima del nipote (o figlio naturale) Paolo dal 1481 al 1531 vi è un totale abbandono del governo diocesano, il cui merito è quello di lasciare campo libero ai vicari, agli ordini, alle confraternite e alle autorità civili di attuare una riforma dei costumi e della religiosità chiamata anche riforma pretridentina bresciana.

La facciata in stile lombardo a capanna è in cotto con rosone di botticino alternato al grigio sarnico e termina con tre pinnacoli in laterizio. Sotto lo spiovente corre una splendente cornice di archetti trilobati in maiolica smaltata verde e gialla, provenienti dalle fornaci Martinengo di Orzinuovi, uguali a quelli del chiostro grande del convento olivetano di Rodengo Saiano, di S. Agata e del Carmine. Secondo il Morassi (1939) la facciata doveva essere interamente intonacata e dipinta.

Al centro di un' alta zoccolatura di marmo botticino, recuperato in parte dal sottostante Foro Romano (vedasi in particolare le formelle esagonali del lato destro un tempo sul soffitto della cella centrale del Tempio Capitolino) si apre un portale dalle forme chiaramente rinascimentali con ricche candelabre uguali a quelle della chiesa del Carmine e di S. Maria delle Grazie, nello stile dei Rodari di Lugano (Morassi), lapicidi della valle di Intelvi, patria dell' Antelami e operanti sui portali del duomo di Como.

Si consideri che nello stesso tempo era aperto il grande cantiere della Loggia e di S. Maria dei Miracoli dove l' apparato decorativo è opera di artigiani di Porlezza, Gaspare da Coirano e Tamagnino, citati anche per la parte scultorea del Mausoleo Martinengo.

I pilastri laterali raffigurano scolpite due candelabre con la base a sostegno di tre livelli di putti musicanti l' ultimo dei quali regge un cartiglio con il sole a dodici raggi, il simbolo JHS di San Bernardino da Siena. Lo stesso motivo in altorilievo si trova ripetuto sulla porta pedonale vicina al passo carraio.

Il pilastro termina nel capitello composito con due delfini che si abbeverano alla sorgente della fontana, augurio di salvezza e di guarigione. Il delfino è associato al culto di Apollo Apotropaeos, colui che scaccia il male, nel santuario di Delfi per l' appunto.

L' architrave soprastante, spezzatasi durante i lavori di impostazione, è riccamente scolpita e vede al centro un Cristo che emerge dal sepolcro, imago pietatis di origine bizantina copiato dalla Sindone, e ben sintetizza il senso del cristianesimo dove Gesù è morto come uomo ma vive in quanto Dio.

In quanto uomo egli è sposo dell' umanità, per cui la sua presenza qui ha il significato di unire idealmente le due famiglie Martinengo e Colleoni presenti nello stemma dell' aquila e del fiocco, due casate congiunte sempre più strettamente dalla politica matrimoniale: basti pensare alle tre figlie del Colleoni, avute dal matrimonio con Tisbe Martinengo, andate spose ad altrettanti Martinengo. Il tutto è accompagnato da coppie di angeli a quattro o a sei ali (cherubini o serafini) a significare la presenza benedicente di Dio e da altrettante cornucopie traboccanti frutti in auspicio di prosperità e abbondanza.

Il portale è sormontato da un timpano triangolare sostenuto da due teste di leoncini in pietra bianca: accoglie all' interno due affreschi sovrapposti che danno colore alla facciata.

Quello in basso, delimitato da una cornice arcuata a dentelli marmorei, rappresenta Due angeli adoranti l' Ostia esposta in ostensorio a torre, affresco della mano di Paolo da Caylina il Vecchio o Paolo da Brescia, pittore presente anche all' interno.

Il soprastante assai più grande è a mala pena leggibile:

Ormai dilavato, lascia percepire una ANNUNCIAZIONE sullo sfondo di una bifora (in realtà sono tre bifore) aperta sul paesaggio.

Non si fa menzione di questa opera nella letteratura antica perché molto degradata. La corretta individuazione spetta alla dott. Lucchesi Ragni (1980) la quale, basandosi su un disegno conservato all'Accademia Carrara di Bergamo, ascritto con ogni sicurezza al nostro Moretto dal Ragghianti (1962), lo dice opera del grande bresciano.

Che si tratti di un disegno giovanile si rileva dalla incertezza anatomica del braccio sinistro dell' angelo Gabriele, ancora dalla bifora aperta sul paesaggio di gusto bramantesco e alla destra la figura di Maria inginocchiata nel tradizionale raccoglimento: l'intervento dovrebbe collocarsi nel 1530 come l' Annunciazione della Pinacoteca Tosio Martinengo, stilisticamente affine.

Il tutto è stato ripulito nei restauri del 1981 di Pierpaolo Cristiani, Alberto Fontanini e Luisa Marchetti. Ancora nel 2000 è stato rivisto dall' ENAIP. Malgrado ciò risulta difficile individuare le due bifore laterali ben delineate nel disegno e la figura dell'angelo e della Madonna, ormai ridotte a una ombra di colore.

Negli anni 1970 l' affresco fu riparato da un vetro che avrebbe dovuto salvarlo dalle intemperie, in realtà ha causato la condensa dell' umidità con conseguenze irreparabili. Quando si tolse la protezione il danno si rivelò ormai irreversibile.
Il campanile è costruito nella parte inferiore con medolo, pietra del posto zona Castello, e completato nella parte più alta nel XVI secolo in cotto. La parte terminale era a cuspide piramidale come si vede nelle mappe antiche, ora si presenta nella forma squadrata della torre con cella campanaria. Il motivo decorativo delle mensole è un cordiglione in cotto che percorre gli spigoli della cella e degli archi, come appare a Rodengo o all' Annunziata di Rovato.

L'interno ad aula unica come tante chiese lombarde presenta il coro ad una campata quadrata e crociera a costoloni leggermente acuti. L'abside è munita di catino a cinque spicchi tardo gotici e si collega alla navata con un grandioso arco trionfale ogivale.

La novità sta nella volta della navata attraversata da una fitta rete di costoloni cordonati che, partendo da sei peducci per lato s'intersecano a più riprese sullo sfondo di una volta a tutto sesto, creando degli archi acuti e spazi a losanghe destinati ad essere affrescati nel 1560 da fra Benedetto. E' da sottolineare la stranezza di come un elemento gotico, il costolone cordonato, viene innestato tardivamente ( siamo verso il 1560 ) su una struttura che di gotico, nel senso corrente della regione lombardo - veneta, non ha mai avuto: "nel S. Cristo si concentra il momento critico dell'architettura quattrocentesca, che può spiegare la coesistenza di certi precoci raggiungimenti e di fenomeni ritardatari".

I costoloni partono dai sei peducci poggianti su capitelli delle pareti laterali e si intrecciano sotto la volta formando una trama di rombi decorati che nelle loro intersezioni sono forniti di medaglioni in terracotta colorata raffiguranti tre diversi temi eucaristici.

I medaglioni che corrono a ovest raffigurano il calice con l' ostia, quelli della fila centrale il volto di Cristo, infine quelli a est il trigramma JHS.

Questo simbolo JHS - Jesus Hominum Salvator - viene ripreso in grandioso affresco al centro della volta a caratteri cubitali in caldo colore dorato e viene associato al segno della croce e della colomba dello Spirito Santo tra una corona di nubi e angioletti in una visione celestiale: dalla tonalità giallo oro della zona centrale passa al rosa intenso, sfumando in una cerchia di nubi azzurre dalle quali spuntano i volti degli angioletti. L' emblema acquista ancor più risalto in virtù della collocazione privilegiata isolata all' incrocio dei costoloni di mezzo, inquadrato da quattro losanghe decorate con semplici motivi fitomorfi a monocromo di tonalità grigia che contribuisce a dare più splendore al motivo centrale.

Il contro soffitto spiega come all' origine la chiesa avesse il tetto a capriate analogamente alle coeve della Mitria di Nave e S. Maria degli Angeli a Gardone val Trompia…L' intervento di fra Benedetto da Marone modificherà la struttura in vista del vasto ciclo pittorico che si apprestava a realizzare. Dopo il Concilio di Trento con le nuove norme sulla pittura sacra il frate farà coprire le travi da un contro soffitto in vista del suo progetto iconografico: dodici losanghe per gli apostoli e Cristo in un Giudizio Universale, secondo l' originale modello michelangiolesco.

La zona dell' endonartece presenta la struttura nello nuovo stile rinascimentale evidente nel portale: sono due colonne formanti tre archi a tutto sesto che reggono la cantoria e l' organo, e racchiudono un portico-interno vicino all' ingresso - una specie di vestibolo - decorato di pregevoli affreschi narranti l' infanzia di Gesù.

Per quanto riguarda gli accessi erano previste due porte nel presbiterio, per il campanile e per la sacrestia, mentre nella navata oltre al portale di ingresso c' era la porta laterale vicina all' arco trionfale con la speculare dell' opposta parete, ora murata. Quella laterale di fondo è una aggiunta del periodo del Seminario e è attualmente la più utilizzata.

Alla consacrazione del 1501 la chiesa doveva essere affrescata almeno nella parte absidale, dove si svolge la sacra liturgia. Qualche lacerto di questa originaria decorazione è rimasto sulla sommità dell'arco trionfale che lascia intravedere un JHS a caratteri gotici sotto i tratti del Giudizio Universale, come pure sotto la finestra di destra dove i restauri hanno fatto riapparire un S. Sebastiano.

A questo periodo risalgono i quattro affreschi di scuola foppesca alla base dell' arco trionfale riscoperti e restaurati dal Volpi nel 1883 su iniziativa del rettore del Seminario mons. Pietro Capretti, quindi di nuovo ripuliti dall'ENAIP di Botticino nel 1980 e il 26 aprile 1999.

A destra all'interno di una elaborata cornice si può ammirare una Madonna in trono con bambino fra i Santi Rocco e Cristoforo, opera ormai certa di Paolo da Caylina il Vecchio, detto anche Paolo da Brescia, cognato di Vincenzo Foppa e con lui attivo intorno al 1458 data del polittico di Mortara.

La scelta di questi due santi si giustifica con la presenza del grave flagello della peste per la quale S. Rocco era pregato come protettore, e dei rischi legati ai viaggi in momenti di disordine e di lotte per cui veniva invocato S. Cristoforo, qui rappresentato nel guado del fiume mentre traghetta Gesù bambino.

L'attribuzione al Caylina è sicura da quando è venuta alla luce una serie di ex-voto nella Cappella della Vergine in San Giovanni Evangelista, dove una Madonna col bambino reca in evidenza sul basamento del trono la data 1486 e la scritta OPUS PAULI PICTO… (RIS).

Tra le due Madonne esistono singolari rispondenze, come la coincidenza dei volti inespressivi delle Vergini, degli angioletti che reggono festoni e strumenti musicali: infine la figura del Bambino in grembo alla madre presenta analogia con quella del polittico di San Nazaro e Celso, già assegnato al Caylina. E' notevole in questo affresco accanto alla impostazione prospettica di influenza padovana la ricerca del plasticismo e dello sfumato, come ben si vede nella ombreggiatura del piede e del tappeto.

Più sotto davanti a un deserto roccioso S. Girolamo penitente con il fedele leone siede davanti alla Croce posta al centro sullo sfondo di un paesaggio lacustre: si batte il petto con un sasso mentre la mano sinistra regge un cilicio di pietre: per terra l' anacronistico galero cardinalizio lo qualifica come dottore.

A destra del Crocifisso un Vescovo col nimbo della beatitudine (non è ancora santo!) prega inginocchiato nella bianca divisa sotto un mantello camelino. L'iscrizione soprastante b JOHANNES TUSS… rimanda al beato Giovanni Tavelli da Tossignano vescovo di Ferrara, qui ricordato perchè redattore della Regola dei Gesuati, per la quale da movimento laicale sono diventati giuridicamente Congregazione riconosciuta dal Papa.

Questa armonica composizione di solito attribuita al Ferramola si avvicina allo stile del contemporaneo Paolo da Caylina il Giovane per il moderato influsso del Foppa e alcuni tratti nordici nella durezza e incisività del segno. La luce e il colore invece si ispirano ai modelli veneti presenti nel Romanino o nel Moretto in una atmosfera di sfumato.

Se così è, non può essere datata come le altre al 1490, ma certamente oltre il 1510, data d' inizio della collaborazione di Paolo con lo zio Vincenzo Foppa nella cappella Averoldi del Carmine (1509). A questo riguardo può essere utile il confronto con gli Episodi di S. Antonio abate della chiesa di Bormio, in particolare all' incontro di S. Antonio con Paolo eremita in un paesaggio simile al nostro datato 1532-33 che per il cromatismo rimanda agli affreschi di S. Giulia. Il richiamo si riferisce soprattutto alla montagna e al paesaggio che fanno da sfondo agli eremiti, come nel S. Girolamo di S. Cristo.

Merita in ogni caso considerare l' analogia del modello lacustre qui presente con il paesaggio ai piedi del Polittico di S. Nicola da Tolentino con i SS. Rocco e Sebastiano e la pietà della Pinacoteca Tosio-Martinengo di Vincenzo Civerchio. Questo particolare denota influssi leonardeschi riscontrabili nello sfumato del golfo che ha lo stesso arco di apertura sullo sfondo di un monte a punta. Si notano pure le barche e tetti delle case che nel Polittico sono più "italiani ".

Sulla sinistra dell' arco è rappresentato un compianto o una lamentazione, una Madonna con Cristo deposto.

La figura di sinistra con il coltello ben in vista è l'apostolo S. Bartolomeo, presenza fuori contesto a ricordo della omonima cappella, patrono degli scuoiatori ma nel nostro caso meglio dei malati di peste.

A destra è un santo indicato più sotto come B. JOHANNES …(indecifrabile in passato letto come Giovanni Pietro da Cemmo, pittore camuno a cui fu erroneamente attribuito dal Morassi nel catalogo, Roma 1939) da riferirsi ormai con certezza al beato Giovanni Colombini, iniziatore del movimento gesuata rappresentato a mani giunte con il nimbo della beatitudine (non ancora l' aureola della santità) l' abito bianco e il mantello camelino secondo la prescrizione del Papa. Poiché di solito viene rappresentato senza barba, si è fatto il nome del beato Antonio Bettini vescovo di Foligno, altra figura basilare della spiritualità gesuata, non certo comunque da paragonare al fondatore che qui non mostra alcun segno episcopale.

La Vergine in trono, inserita entro un arco sormontato da una Annunciazione in monocromo ( o in sinopia), tiene sulle ginocchia il Cristo morto nell'atteggiamento della Pietà impostata secondo lo schema iconografico nordico del "Vesperbild", vicina nei tratti al cosiddetto maestro di Nave nella Pieve della Mitria (F. Frisoni).

L' opera è da attribuire al carmelitano fra Girolamo da Brescia: attivo fino al 1520 e discepolo del confratello fra Giovanni Maria da Brescia. Ad elementi tipicamente foppeschi unisce altri derivati dal toscano Andrea del Castagno come nelle fasce bianche-grigie dell' arco e da evidenti influssi tedeschi nei tratti spigolosi dei volti: in particolare quello di Maria è impietrito in una maschera di dolore, accentuato dal primo piano del manto grigio scolpito nelle pieghe sulle ginocchia.

Un accorgimento interessante è il sotto-in-su che mostra il soffitto a cassettoni dorati: in questa prospettiva la Vergine presa dal basso siede su un trono dall' alto schienale a tre ripiani esaltato da un conchiglia con croce. Questo espediente conferisce più spettacolarità alla cappella, esaltata inoltre dal timpano triangolare e dalle statue dell' Annunciazione.

Un particolare che colpisce è la singolare conformazione della mascella fortemente allungata del Cristo, ma anche degli altri, dal taglio netto e incisivo che induce a pensare a influssi nordici.

Chiude la serie dei quattro affreschi l' Adorazione del Bambino, pesantemente restaurato nella parte superiore ora occupata da un angelo pasticciato con squarci di vuoto, il cui stile è accostabile alla cultura di Paolo da Caylina il Vecchio.

Alle figure di Maria e Giuseppe unisce a sinistra, fuori della scena centrale, l'immagine dell' apostolo Pietro in veste di pellegrino, qui rappresentato a ricordo dell'omonimo convento di S. Pietro in Ripa, al tempo ancora presente come oratorio nell'ortaglia. Appena sopra la testa del Bambinello sono percettibile due corna, quelle del bue, ma lo spazio esiste anche per l' asinello occultato.

La raffigurazione presenta analogie evidenti con quella dell'abside della Mitria di Nave, ancora legata a modelli tardo gotici come il particolare della cesta del bambino e dei volti simili di San Giuseppe e di San Pietro. Il pittore cura in particolare il volto di Maria che appare adorante nella velatura, oggetto degli sguardi instancabili del Bambino giacente nella culla di vimini.

Un confronto illuminante può essere fatto con il medesimo soggetto nel Santuario di S. Maria delle Grazie attribuito alla bottega del Foppa.

I quattro affreschi sono espressione della pietà cristocentrica dei Gesuati: due presentano Gesù Bambino, altri due il Gesù sofferente . Maria appare in tutte le scene, salvo quella con il paesaggio lacustre. Gli altri personaggi fanno parte delle nascita dell' Ordine come il beato Colombini, il beato Tavelli o al suo protettore S. Gerolamo.

Dal punto di vista stilistico, fatta esclusione della Adorazione del Bambino, gli altri mostrano chiaramente i segni della nuova pittura rinascimentale. L' uso della tecnica della prospettiva è immediatamente lampante nelle architetture che fanno da cornice ai troni delle due Madonne poste in bella simmetria sulle spalle dell' arco trionfale. Il plasticismo è notevole nelle pieghe del manto della Vergine della Pietà come scolpito nella pietra: una maschera di dolore è il volto di Maria, accentuato dal disegno tagliente di gusto nordico mentre regge in grembo il figlio irrigidito nella morte. Nell' altra Madonna la ricerca dello sfumato è visibile chiaramente nelle ombreggiature del tappeto e del piede del San Rocco.

L' affresco più notevole resta quello col paesaggio (vedere pure il Civerchio, tavola di S. Nicola da Tolentino della Pinacoteca) per certe sfumature attribuito in passato dalle guide locali a Vincenzo Foppa. Esso è fuori di ogni schema architettonico: la profondità viene data dal profilo delle montagne sull' orizzonte, mentre al centro è un gradevolissimo lago solcato da navi, e sulle rive si vedono castelli medievali languedoc dagli spioventi azzurri. Tutto è avvolto in una sfumata atmosfera non priva di vivaci tonalità e gradevoli contrasti in una ambientazione devota proveniente dalla presenza della Croce.

In primo piano stanno le tre figure-base della spiritualità, cioè San Gerolamo - la croce - il beato Tavelli da Tossignano, simboli fondamentali nella spiritualità dell' Ordine. I Gesuati, come erano popolarmente chiamati, portavano anche la denominazione ufficiale di Chierici di San Gerolamo.

Essi avevano scelto come loro protettore questo santo anacoreta in Betlemme e autore della Volgata, la versione latina della Bibbia. Ciò spiega la ricorrenza della sua figura sia nelle rappresentazione che nelle citazioni. In S. Cristo egli è presente pure sull' arco della parete ovest dove era il Mausoleo insieme ad altri santi, sempre accompagnato dal leone, e ancora nella dedica della cappella interna col titolo di ORATORIUM. S HIERONYMI incisi nel portale marmoreo, sull' ingresso della sagrestia.

Quando nel 1565 fra Benedetto prende in mano il rifacimento dell' interno e fa ricoprire il soffitto di costoloni cordonati in vista del nuovo ciclo pittorico, salva questi affreschi del Quattrocento in considerazione della loro alta qualità pittorica, ma soprattutto della presenza delle figure basilari dell' Ordine, vale a dire del fondatore beato Giovanni Colombini e del beato Giovanni Tavelli da Tossignano, autore delle Regole.

Nella zona presbiterale c' era una finestra dietro l' altare, presto chiusa per far posto alla tavola del Romanino: il suo tracciato è ancora oggi visibile sulla parete esterna.

Nel catino dell' abside a destra della Crocifissione è emersa dai restauri una testa, probabilmente di S. Giovanni ai piedi della Croce. Sicuramente essa si accompagnava ad altre pitture.

L' arco trionfale aveva un JHS in stile gotico visibile anche adesso sulla punta della ogiva, mentre le zone laterali erano occupate dai quattro affreschi di scuola foppesca che danno tuttora splendore all' interno.

Le note del tempo parlano della presenza di tre altari: escludendo il principale, gli altri due non potevano che essere addossati alla parete di destra. Uno di questi era quello dedicato a S. Agostino e alla Madonna facente parte del legato de' Brendulis di Vicenza che prevedeva la tomba dell' offerente oltre la celebrazione di S. Messe Perpetue per la sua anima.

All' inizio della parete orientale è emerso con gli ultimi restauri un affresco di S. Sebastiano, picchettato e di modesta fattura, a lato di un Crocifisso sostenuto da Dio Padre, ora tagliato dalla finestra. Nella parte inferiore poi è ricoperto da un affresco cinquecentesco di S. Cristoforo e S. Rocco ai lati di una croce, ora mutilato nella zona alta dalla stessa finestra. Sulla destra è la traccia di una porta murata che conduceva nella legnaia del convento.

La presenza del santo trafitto dalle frecce si spiega con il flagello della peste, lo stesso vale per il S. Rocco dichiarato protettore ufficiale dall' autorità comunale. Proprio del 1478 è la famosa peste dello zucchetto o del mazzucco con febbri lancinanti e terribili mal di testa che portavano alla morte in pochi giorni, tanto che in undici mesi fece 30.000 vittime nella sola città di Brescia. Per le sue caratteristiche alcuni studiosi dubitano che si tratti di vera peste, comunque essa fu seguita da altre nel 1481 e da quella del 1484 detta di perusia o di Perugia piuttosto virulenta al punto di costringere a chiudere le scuole e regolamentare severamente la prostituzione. Davanti a tale emergenza il Comune fu costretto ad aprire il Lazzaretto di S. Bartolomeo, bandire le processioni ed erigere una chiesa a S. Rocco per domandarne la protezione.

Con ogni probabilità il S. Sebastiano e le eventuali figure vicine furono ricoperti perché ritenuti superflui o di fattura mediocre quando venne realizzata la Madonna in trono con i Santi Rocco e Cristoforo di Paolo da Caylina il Vecchio.

Nella parete opposta è ancora visibile un esile S. Gerolamo picchettato davanti ad una croce ormai scomparsa. Anche qui le immagini votive dovevano continuare fino al monumento Martinengo, tanto è vero che sotto il pulpito è riapparso l' affresco di una finta architettura, un pilastro con capitello e trabeazione, probabile cornice di altre devozioni.

Nella seconda metà del Cinquecento la pratica dei tabelloni votivi viene abbandonata e sostituita dai cicli pittorici, per cui molti di questi affreschi votivi sono stati occultati o distrutti anche in conseguenza delle disposizioni tridentine. Nelle visite pastorali del vescovo mons. Bollani e di S. Carlo sono numerose le disposizioni tendenti a regolarizzare la devozione della cosiddetta "religiosità popolare".

Nella parte alta delle pareti sotto le capriate quattro oculi per parte servivano a dare luce alla grande navata insieme al rosone della facciata. La fascia dell' endonartece occupata dai Padri della Chiesa era affrescata in precedenza don finte architetture di cui è ancora visibile traccia nell' angolo orientale.

Certamente era una chiesa dagli inizi umili, destinata ad abbellirsi con il concorso del popolo e della classe nobile, ma soprattutto ad essere radicalmente trasformata per l' iniziativa di un ardimentoso affreschista, al quale oggi va la nostra ammirazione per il progetto grandioso di grande valenza teologica, grazie al quale possiamo dire di possedere in Brescia una Cappella Sistina.

Secondo la tradizione furono inserite nel 1640 da Pier Maria Bagnadore (Orzinuovi 1545/50 - dopo 1620), pittore manierista influenzato dal Moretto, giudicato povero di inventiva, ma abile nel mestiere e sapiente nell'uso del colore e della luce. E' ritenuto più grande come architetto. Insieme al Gambara venne a contatto delle tendenze del manierismo romano tramite le incisioni di un altro bresciano operante a Roma, il Muziano. Gli antichi lo lodarono per " lo squisito disegno sobrio, giudizioso e preciso, gli scorci mirabilmente variati e la grande morbidezza nelle carnagioni e nei panni".

Premesso che già esistevano in chiesa due altari laterali addossati con ogni probabilità alla parete di destra essendo l' altra occupata dal Mausoleo, si trattava di dare sistemazione più ordinata all' interno. Dopo il Concilio di Trento l' afflusso di vocazioni sacerdotali tra le file del laicale Ordine dei Gesuati, ma pure l' aumento della richiesta di celebrazioni di S. Messe Perpetue e altri oneri religiosi spinse alla decisione di aumentare gli altari per soddisfare le numerose domande e nel contempo fare più spazio e ordine nella chiesa, come veniva anche richiesto dalle visite apostoliche vescovili. L' incarico viene affidato al Bagnadore che apre tre grandi archi accesso a rispettive cappelle e altari.

La centrale viene esaltata da cupola e comunica con due porte alle vicine, illuminate da uguali finestre termali romane nella parete di fondo. Il vano è a pianta quadrata, gli angoli sostengono archi a tutto sesto coronati da un tamburo sul quale insiste la cupola a calotta; la luce entra dall'alto per una lanterna cilindrica allungata alla cui sommità spiccava la colomba dorata dello Spirito Santo (tolta dopo il restauro in quanto già presente sulla sommità dell' altare ligneo). Le strutture a cerchio della cupola si restringono nel cannocchiale della lanterna e, allontanando il punto di fuga, creano l'illusione prospettica di superare l' altezza della volta interna.

L'altare ha ripreso l' aspetto antico con la tela raffigurante la Natività (restituita dal seminario a restauro ultimato) inserita in un imponente soasa di legno intarsiato con madreperla; alle pareti laterali due cornici di stucco accolgono le tele a tempera grassa raffiguranti la Circoncisione e la Adorazione dei Magi, restaurate in precedenza dalla ditta Seccamani.

In alto l' intradosso della cupola mostra gli affreschi dei Profeti nei medaglioni e Sibille alle finestre: richiamano nello stile della composizione e nel colore la cappella del Crocifisso del Foppa in S. Maria del Carmine. I quattro Evangelisti dei pennacchi ormai ridotti a larve completano la decorazione di questa cappella dedicata alla contemplazione del mistero di Gesù Bambino, come bene si addice alla spiritualità d' impronta francescana dei Gesuati.

Certamente in passato si presentava in altro splendore con gli affreschi dai vivi colori sottolineati dalle dorature luccicanti. Più tardi anche il pavimento ospiterà le tre lastre tombali del pavimento, di cui le estreme sono dedicate ai membri uomini e donne della Confraternita.

In considerazione della dedica alla Nascita di Gesù ogni anno a Natale viene proposta in questo contesto una mostra annuale dei presepi missionari provenienti o legati alle culture di tutto il mondo.

La cappella di sinistra o terza è dedicata alla Passione di Cristo, come si deduce da una Crocifissione al centro del soffitto, risultata di epoca ottocentesca, da un affresco con Gesù deriso dai soldati e dal gemello a sinistra ormai strappato. Si presenta ora con un altare intarsiato con madreperla, sormontato da due colonne tortili che reggono un arco spezzato che fa da contesto alla Grotta di Lourdes.

Il restauro dell'estate 2000 ha rimesso in evidenza le quadrature seicentesche alla maniera del Sandrini, grande esperto in materia e morto durante la peste manzoniana. E' datata 1678 quindi dopo la morte del maestro: pertanto viene riferita a un allievo della scuola, probabilmente Pietro Antonio Sorisene, quadraturista di giochi prospettici e decorativi in ampi spazi, qui impediti dalla esiguità della superficie. L'affresco di sinistra è stato strappato, le tre porte sottostanti erano l' accesso ai confessionali dei seminaristi.

Un terzo altare di legno stava nella cappella di destra o prima cappella . Al suo posto c' è ora un sarcofago-reliquario, recuperato da sotto l'altare della cappella di centro: spostato al centro del presbiterio come altare rivolto al popolo durante la riforma liturgica del Vaticano II ha trovato qui la sede definitiva. Porta inciso i nomi dei tre martiri Giovanni, Paolo e Saturnino :

HIC.SS.MART - IOANNIS.PAULI.SATURINIQ. - OSSA QUIESCUNT.

Sopra vi è appoggiata una statua lignea di San Francesco Saverio, grande missionario gesuita e patrono universale delle Missioni e in particolare dei Missionari Saveriani, che occupa il vuoto della parete di fondo di questa cappella ormai privata delle sue tele: la scultura è dono dell' ing. Antonio Lechi dei conti di Montirone collaboratore nei restauri del convento insieme all' arch. Montini negli anni 1960, che si avvalse anche del contributo dei pittori e restauratori Grassi e Caprioli di Pudiano - Gerolanuova.

L' affresco della volta è un oculo con balaustra prospettica che mostra S. Antonio in gloria tra gli angeli, ai lati di due balconate ornate di fiori e putti secondo il gusto del Veronese. Anche questa cappella porta la data 1678 e come la precedente è attribuita al Bagnadore nella architettura, mentre per la parte pittorica abbiamo una nota del 1886 che recita: " Il Chimeri decorò con molta grazia il coro e le cappelle in una delle quali intorno ad una cupoletta dipinse a chiaro scuro un coro di angioletti in molte misure atteggiati", una probabile allusione agli angeli della balaustre del S. Antonio.

Storicamente stando a quanto riferisce la guida del Brognoli (1826) nella prima cappella c'è un S. Antonio da Padova di Bernardino Bono (allude alla tela ancora presente presso i Missionari ); in quella di centro restano le tre tele dell'infanzia; nella terza cappella, sembra di capire, si trova sull'altare una Immacolata Concezione di Agostino Saloni, ai lati un S. Francesco di Assisi di Francesco Paglia e S. Pietro di Alcantara di Pompeo Ghitti, che dovrebbero corrispondere a quelle presenti in Seminario. Il Morassi del 1939 parla invece di un Cristo deposto di autore bresciano mediocre, a destra il S. Antonio da Padova di scuola dei Procaccini e a sinistra il S. Francesco.

Per quanto riguarda l' origine delle cappelle è assai probabile che il Bagnadore abbia curato l'architettura di tutte e tre, completando quella di centro dedicata all'infanzia di Gesù con tele in suo possesso. Sembra ormai assodato che nel cammino artistico del pittore queste tempere grasse non possono essere collocate dopo il 1580. In particolare la più bella, la Natività, rimanda ad elementi della pittura emiliana del Correggio , come si può notare nello scorcio del sotto in su dei volti e soprattutto nella ricerca luministica incentrata sul bambino nella culla e sugli angeli nel cielo.

Delle due tele laterali sono di buona fattura quella della Visita dei Re Magi nelle variopinte vesti orientali con il motivo della stella alla maniera del Savoldo. che compensano appena la figura di Maria e la testa di Giuseppe in posizione umile, ma pure contorta. La composizione della Circoncisione dipinta secondo i canoni del Bramantino denota più staticità nelle figure degli inservienti copiate da modelli precedenti.

Notiamo al riguardo come nel '500 sia invalsa l' abitudine di stampare e diffondere i disegni delle opere dei grandi della pittura come Michelangelo, Raffaello… ad uso dei manieristi. Famose sono rimaste le riproduzioni del Raimondi, e tra i bresciani Girolamo Muziano, attivo presso la corte pontificia. Questo allo scopo evidente di lavorare più in fretta e bene.

Per l'architettura c'è in Brescia un altro esempio del Bagnadore che ripete gli stessi schemi della cappella centrale di S. Cristo: si tratta dell'oratorio di S. Maria del Lino in piazza del Mercato innalzato nel 1608. Ritroviamo qui la base quadrata con arco romano coronata di cornicione e sormontato dalla calotta; la luce che penetra dalle brevi finestre della lanterna si irradia verso la base in una atmosfera mistica, che stende penombre sulle tele illustranti il mistero dell'Incarnazione.



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