venerdì 19 giugno 2015

LE CITTA' DELLA PIANURA PADANA : ORZINUOVI



Orzinuovi è un comune della provincia di Brescia.
Non ci sono risposte certe sull'origine del nome di Orzinuovi, ma soltanto risposte attendibili, il Codagli nella sua opera Historia Orceana narra che durante le invasioni barbariche del V-VI secolo d.C., i barbari avrebbero costruito in questo territorio due rocche fortissime che in latino, la lingua dei romani, sarebbero definite Arces, appunto da questa parola sarebbero arrivati a Orci, ma Codagli si rese conto dalle storie degli anziani del paese che il nome non sarebbe potuto derivare dalle Rocche, bensì dai vasi che i Romani chiamavano Orzi ritrovati dal fondo di quelle. Sempre Codagli ipotizza che sia stato S.Ursicino, Vescovo di Brescia dal 347 al 380 d.C., a dare il nome alla città. Inoltre, ipotizza che possa essere stata Oritia moglie di Borea e figlia di Eritteo, re di Atene. Oritia avendo fatto edificare il tempio dedicato a Giove nei pressi della località spettava lei dare il nome alla città.

Monsignor Guerrini, l'arciprete della Curia di Brescia presuppone che il nome della città derivi dall'aggettivo Arsus che tradotto dal latino all'italiano significa latifondi, che Orzinuovi possedeva prima che il Comune di Brescia nell'XI secolo vi bonificasse. Lo stesso Guerrini dice che l'origine del nome deriva da J-urs, che potrebbe essere una ricostruzione dialettale di San Giorgio, poiché, Orzinuovi, fondata nel XII secolo, è stata chiamata castrum San Georgi o San Jorii quindi a risalire a J-ursus. Però Monsignor Guerrini smentisce questa sua ipotesi, per due ragioni una fonetica e una storica:

Nel dialetto bresciano il nome Giorgio si pronuncia Zors e perciò si dice Sant'Zors, che non può essere tanto facilmente trasformato in J-urs. (Ragione fonetica)
Il nome Orzi spetta prima a Orzivecchi e non a Orzinuovi, perché il primo è più antico del secondo. A Orzivecchi il culto di San Giorgio non viene praticato, mentre è tuttora vivo a Orzinuovi (congiuntamente con quello di San Bartolomeo), in quanto sotto la protezione e il nome di San Giorgio venne dal comune di Brescia, che come già detto in precedenza, edificò il territorio chiamando il paese San Georgi a difesa del confine con la provincia di Cremona. È ciò accadde quando il castello di Orzivecchi aveva già più di un secolo di vita e il nome esclusivo De Urceis.
Carlo Antonio Mor sostiene, invece, che ricostruendo il nome Orci viene da Urcei la cui probabilissima radice vuol dire acqua, Orci vuol perciò denotare che il significato del nome è abitato vicino all'acqua.

Orzinuovi, situato a Sud Ovest di Brescia a pochi chilometri dal fiume Oglio, fu fondato l’11 luglio del 1193 (data certa e documentatata) per espressa volontà della città di Brescia, al fine di perfezionare le proprie difese rispetto ai cremonesi lungo la delicata linea dell’Oglio: l’intero centro storico conserva ancora, nella regolare suddivisione in strade ortogonali disposte attorno all’asse centrale della lunga piazza orientata Nord – Sud, l’antica organizzazione urbanistica castrense; l’intervento avvenne su un unico antico dosso fluviale dell’Oglio, in una località già occupata dall’ antica chiesa di S. Giorgio cui verrà dedicato l’intero centro.

L’atto di fondazione di cui si conservano solo delle trascrizioni, pone fine alle discussioni sorte in passato, anche a seguito di una certa confusione fatta dal Codagli, il primo storico oceano. Questi infatti citando altri storici, sembra far risalire al 1191, con due anni di anticipo, la decisione del Comune di Brescia di costruire un nuovo castello per gli antichi Urcei.

E’ opportuno ricordare che gli storici successivi commisero un altro errore in conseguenza a quello fatto dal Codagli nel descrivere la fondazione di Orci Novi, cioè che l’antico castello al Bigollio fu distrutto per utilizzare il materiale per la costruzione del nuovo castello, chiamato S. Giorgio al Theze. Questa sarà, infatti, la prima denominazione di Orzinuovi: Castrum Sancti Georgi. Solo successivamente verrà chiamato Orci Novi per diventare, più tardi ancora, Orzinuovi.

Le vicende storiche di Orzinuovi si ricollegano, ovviamente a quelle di Brescia; nei primi 250 anni Urcei conosce la dittatura di Ezzelino da Romano, di Oberto Pelavicino, dei Torrianio, degli Angiò, degli Scaligeri, dei Visconti e dei Malatesta, con un breve intervallo per i Gonzaga; in ultimo passa quasi definitivamente sotto Venezia, dal 1426 al 1797.

Gli episodi salienti del periodo pre-veneto sono trattati con dovizia di particolari e secondo un’interpretazione a volte drammatica dal Codagli e in parte riesumati anche dal Mor.

Basti ricordare la breve sosta in Orzinuovi di Ezzelino da Romano, il quale nel 1258, il primo settembre, occupa Brescia, costringendo alcune famiglie guelfe ad uscire dalla città e a rifugiarsi nelle roccheforti della provincia.

Il truce tiranno l’anno successivo seguendo i consigli del Dovera, traditore di Milano, tenta di impossessarsi della città e per eludere le sue manovre militari, finge di attaccare Orzinuovi, che assedia devastandone le campagne; si dirige poi verso il milanese ad incontrare la definitiva sconfitta del suo esercito e la morte sul ponte di Cassano d’Adda.

Nel 1282, stranamente, data l’antichissima rivalità con i Soncinesi, gli Orceani inviano aiuti alla città di Cremona, impegnata a difendersi dal marchese di Monferrato.

Nel 1341 Azzone Visconti emette gli statuti, una raccolta, cioè, di disposizioni che regolano la vita politica amministrativa e sociale del comune. (In essi, per esempio, sta scritto come si debbano mantenere le strade, le condizioni igieniche da rispettare da parte dei mugnai e dei fornitori da farina, come debba comportarsi il podestà, quando il capitano del popolo può incontrare i residenti….ecc.).

Nel 1383 è consacrata la chiesa principale detta “Il Duomo”, già intitolata a S. Lorenzo ed ora a Santa Maria della Pieve, con la facciata rivolta verso ovest, stretta ed alta, col battistero esterno. Nello stesso periodo ad Orzinuovi capita a predicare San Bernardino, ed in occasione della sua venuta si fonda l’ordine dei Francescani zoccolanti, con residenza al convento dell’Aguzzano.

Nel 1421 il duca Filippo Visconti rinforza le fortificazioni ed ordina la costruzione di una torre con murata all’ingresso della contrada Navagera, ora via Roma.

Il Codagli cita anche lo spaventoso episodio del passaggio delle cavallette “che avendo rovinato insino le fronde cagionassero una crudel fame, dalla corrottione delle quali, n’uscì una sì esecrabile peste che per tre anni continuosi”.

Orci, comunque, passa i guai più grossi della sua storia tra il 1427 ed il 1454, dopo la relativa tranquillità di circa un ventennio.

Galeazzo Visconti lascia un buon ricordo di sé; gli succede Pandolfo Malatesta, messo fuori da Brescia nel 1420; i suoi rappresentanti in Orci sono scacciati dal Carmagnola, al servizio di Filippo Visconti, nello stesso anno. Il Carmagnola, restituisce alla comunità orceana i vecchi statuti soppressi dal Malatesta, riporta il numero dei consiglieri a 48, esenta i residenti dai dazi e dalle gabelle per cinque anni, aggiunge agli Orci le terre di Villachiara e di Rudiano, ma si ripaga di tanta generosità, prendendosi come ostaggi, da conservare sotto chiave in prigione, due della famiglia Zenucchi antighibellini ed esige la partecipazione dei locali alla spesa di 30.000 ducati per la costruzione delle difese, con una imposizione dell’esborso in sei anni dei due terzi della somma.

Per consolare i cittadini della gravosa tassa, decide di renderli autonomi da Brescia e con un atto di somma fiducia consegna ai maggiorenti l’amministrazione delle munizioni.

Nel 1426 i guelfi bresciani tramano contro il Visconti a favore di Venezia e la repubblica coglie l’occasione per mettere le mani sulla città; a cosa fatta, vuol imbastire, per l’ennesima volta, la pace con Milano. E’ stipulata, ma non rispettata; di conseguenza la repubblica invia nel contado ed a Orci, ghibellina, guidata dai Corniani, Trezzi, Angoli, Barbari, Rodenghi, una enorme quantità di truppe, al comando del Carmagnola, passato al servizio di Venezia. L’assedio dura 16 giorni, le artiglierie venete smantellano parte delle mura e molte torri; alcune palle arrivano in piazza e colpiscono la chiesa centrale. Intorno alla fortezza si muovono più di trentamila soldati, con una quantità enorme di cavalli. Finalmente la fortezza si arrende; Caramagnola proibisce con i proclami l’applicazione dei diritti del vincitore, ma alcuni rapaci ufficiali sequestrano le persone più facoltose e le costringono alla consegna di somme enormi.

Il privilegio del doge Foscari riporta tutto alle condizioni di prima, ma offre la possibilità di perseguitare i ghibellini ed impone a tutti nuove taglie.

Decapitato il Carmagnola in Venezia, viene agli Orci Francesco Gonzaga, che guerreggia contro Filippo Visconti attestato nel cremonese; segue un brevissimo periodo di pace, rotta di nuovo nel 1437.

Questa volta si porta sotto le mura per conto di Filippo Visconti, il Piccinino; egli stringe d’assedio la fortezza, che è presa per il tradimento di un certo Pietro da Lucca, armigero inviato sul posto con 200 soldati dal Gattamelata, per dare man forte a Dandolo, comandante della piazza. Ovviamente, per l’occasione si verificano le devastazioni, le taglie, i sequestri e altre brutture collegati a fenomeni del genere.

Nel 1440 Filippo Visconti cede Orci al comandante Ludovico Gonzaga, ma questi non si interessa della faccenda; subito Francesco Sforza, ora al servizio di Venezia, scaccia i viscontei dal paese e li batte sulla strada vecchia per Soncino. Segue una nuova breve pace; ad Orci si reca anche Muzio Attendolo, per svernare. Nella nuova guerra Francesco Sforza, ora al servizio di Milano, smantella le mura della fortezza con le artiglierie, ed invano attenta alla sua vita un certo Giorgio Zenucca.

Con la pace di Lodi del 1454, Orci non è più disturbato dagli eventi della guerriglia tra Venezia e Milano.

Segue un periodo di grandiosità: la repubblica veneta ordina la ricostruzione delle mura e dei bastioni, sostituisce le torri alte e merlate con i torroncelli più atti alla difesa, costruisce la rocca.

I civili iniziano le costruzioni murarie, fabbricano anche palazzi di una certa pretesa, a ridosso della piazza centrale, le organizzazioni religiose aumentano il proprio prestigio, fondano il monastero di S. Francesco della Pace, con relativa chiesa, molto bella e riccamente ornata, e quello di S. Chiara.

Sono pure istituite associazioni culturali ed assistenziali di ogni genere, come la compagnia dei Disciplini, il monte di Pietà e la prima congregazione di carità. Alcuni privati cittadini mettono a dsposizione del pubblico i loro capitali per iniziative sociali.

Questo si può definire il periodo del primo rinascimento orceano, che, dopo la parentesi paurosa della calata di Carlo VIII, del passaggio di Gastone di Foix, dei lanzichenecchi e della micidiale peste, viene rappresentato da illustri personalità operanti nei vari campi dell’attività umana.

Nasce in Orci la magnifica Stefana Quinzani, più tardi beatificata, fondatrice del monastero delle donne di Soncino. Per le scienze e le lettere, acquistano fama l’oriundo orceano Condro, insegnante presso l’Università di Bologna, celebre latinista e grecista, che sembra abbia avuto tra gli alunni Niccolò Copernico; Giovanni Braccesco, latinista, scienziato, filosofo.

Illustrano le arti figurative Bagnadore e Montagna, celebrati pittori e architetti, mentre arriva in Orci il Sanmicheli, a disegnare le costruzioni dei bastioni e delle porte della fortezza.

La società locale è sostanzialmente povera, o appena benestante; non conta famiglie patrizie e nemmeno eccessivamente facoltose, perché nel trambusto dei secoli e specie nel ‘400 e ‘500, i fatti d’arme piuttosto frequenti e la indisponibilità di terre da comperare, il succedersi dei privilegi che garantiscono soprattutto il mantenimento della situazione, impediscono l’inserimento o l’attecchimento dei potentati, sia militari che civili.

Il centro è abitato da qualche famiglia danarosa, che esercita le attività professionali o gode dei benefici delle piccole proprietà terriere; vi si installano i bottegai, ai quali si aggiungono in buon numero gli artigiani dei mestieri inerenti ai bisogni della campagna (sellai, fabbri, ecc.) ed alle richieste degli abitanti in generale.

Ai margini s’incontra una piccola folla di lavoratori occasionali, di pescatori e cacciatori meno esigenti degli altri e viventi alla giornata, fiduciosi nella generosità delle opere caritative e dei conventi per gli anni magri.

Nel contado le piccole proprietà terriere dei professionisti e dei “ricchi” del centro sono condotte dagli affittuali e dai massari, con l’aiuto dei poveri braccianti e con un patrimonio zootecnico ridottissimo, con prodotti miseri, salvati a stento tra un’epidemia e l’altra. La proprietà terriera è ammassata nelle mani del comune, della Chiesa, e di monasteri delle opere di beneficenza.

La potestà amministrativa, tranne la parte che riguarda le fortificazioni militari, è affidata al consiglio comunale, composto da oceani genuini e retto da consoli.

Sulla popolazione non gravano eccessivi pesi fiscali, se non per motivi occasionali, quali le malattie, carestie, fatti d’arme per i quali si richiede il pagamento di dazi a favore del Comune.

I fatti straordinari della vita sociale provengono dalle liti tra civili e militari, per la solita prepotenza dei componenti il presidio e fra agricoltori per i diritti di irrigazione e la manutenzione delle strade, dalle feste pubbliche di carattere religioso e civile, dai contrasti fra le confraternite e gli ordini monasteriali ed ecclesiali.

Orzi è agricolo, artigianale, proletario; gli intellettuali tendono ad abbandonare la terra d’origine per trasferirsi in città.

Nella comunità il fervore generale e la speranza si annunciano pieni, dopo lo smarrimento conseguente ai disastri bellici ed alla peste tra il 1509 e d il 1530 circa.

Nel ‘600 e ‘700 nella fortezza la vita è monotona e stantia, eccezion fatta per la peste del 1630-31 e per qualche traversia collegata alla guerra di successione spagnola (1701-1713), fenomeni innestati nelle vicende comuni a tutta l’Alta Italia.

Nei primi decenni del ‘600 opera l’artista Cossali, autore generoso e laborioso, detto “il pittore di S. Carlo”, chiamato a dipingere dai reggenti delle chiese di un largo territorio, dai domenicani di Soncino e da qualche privato.

Nel 1779 l’ordine dei domenicani chiude il monastero di Orzinuovi, i cui beni sono ceduti ad un Corniani, che li passa successivamente all’ospedale Tribandi.

Le novità arrivano con la rivoluzione francese e la soppressione della Repubblica di Venezia.

Si istituisce il Governo provvisorio, si pianta l’albero della libertà, si organizza il comitato per la valutazione dei beni espropriabili, con interventi dei giovani liberali e del popolo minuto, ma senza la convinta partecipazione della massa. La fortezza ed i suoi abitanti sono tenuti sotto controllo da Brescia, i cui rappresentanti pregano gli Orceani di adeguarsi alle novità e di essere degni patrioti e nel contempo fanno trasferire in città le armi e le munizioni.

Sono espropriati i beni dei monasteri, della chiesa e delle opere ecclesiali, si unificano le entrate dei vari enti caritativi locali in una organizzazione assistenziale civile ed unica, si aprono scuole pubbliche per l’istruzione primaria.

La successiva pubblica Cisalpina ed il Regno Italico di Napoleone intraprendono alcune opere pubbliche, fra le quali la costruzione di una strada per Soncino e del cimitero centrale nel campo “Foppa”; legiferano anche in materia di riti religiosi, sopprimono i conventi di S. Francesco della Pace, dei francescani di S. Maria dell’Aguzzano e cancellano l’ordine della scuola di S. Pietro.

Il comune è indebitato per le antiche ruberie dei francesi e per gli oneri imposti dagli Austriaci vittoriosi su Napoleone. Le idee rivoluzionarie della comunità diminuiscono di interesse e la società locale ritorna pressoché uguale a 50 anni prima, con i vertici rappresentati dagli aristocratici, provenienti dalle solite famiglie ricche e dai militari, con l’aggiunta di qualche liberale che ha allargato la proprietà e si è costituito un lignaggio con l’acquisto dei beni espropriati nel decennio d’oro.

Nel 1828 il governo austriaco ordina l’abbattimento della fortezza a carico del comune; l’opera di demolizione è appaltata ad un impresario privato, con una decisione di massima; la spesa supera di gran lunga il preventivo e la comunità ricorre al prestito di un privato, sempre un Martinengo; il paese è privato della decorosa e storica corona delle mura, invidiata dai vicini e si obbliga a vendere qualche proprietà per affrontare il brutto momento economico e finanziario.

Verso il 1839 il Comune dona agli Orceani il teatro, ricavandolo dallo svuotamento dell’ex chiesa di S. Giuseppe, già affittata a privati, nel 1797.

Nel 1848, l’anno dei fasti d’Italia e delle illusioni, Orzinuovi brinda ai Piemontesi, ai patrioti, con l’intervento delle rappresentanze religiose; l’anno dopo ritorna nella quiete di prima, con l’arresto e l’imprigionamento di Don Giuseppe Perini e con il controllo della Famiglia Pavoni, troppo scopertamente antiaustriacante ed indiziata di sovversivismo.

Nel 1859, dopo l’ennesima definitiva liberazione del comune è eletto sindaco l’Avvocato Maestrazzi. La nuova strutturazione politica coincide con l’inizio del rinnovamento sociale e civile delle campagne della bassa, lento se si vuole, ma massiccio.

Nelle campagne appaiono i primi coltivatori proprietari, e in larga misura i cosiddetti mandriani nomadi, i quali, qualche decennio dopo, divengono acquirenti dei fondi lasciati dai signori di prima.

Alcune leggi sociali costringono gli agricoltori tradizionalisti ad abbandonare le proprietà od a rinnovarsi con grossi sacrifici; nel centro i bottegai si organizzano in iniziative varie, come sollecitati da nuova fiducia.

Compiuto il primo decennio della costituzione del Regno d’Italia (1861-1871), gli entusiasmi si smorzano ed il paese ritorna alla solita routine, anche se qualcosa di nuovo sembra essere impostato da alcune iniziative sociali.

Nell’ultimo decennio del secolo, si realizzano i primi investimenti pubblici, per i quali è costruito il nuovo edificio delle scuole elementari, sono sistemate alcune strade interne e si compiono i primi sparuti tentativi dell’iniziativa privata in materia edilizia. Il comune è servito con una linea tranviaria elettrica e con una ferrovia per la Valle Camonica e Cremona; il centro viene illuminato.

Nei primi anni del secolo nuovo e fino al 1925 circa, tralasciata la parentesi della prima guerra mondiale, si realizza l’espansione dell’edilizia privata, che ricopre molte aree a ridosso delle mura, in ogni direzione, facendo sparire o riducendo a pochi spazi i resti dell’antica fortezza.

Sono pure modificate alcune case della piazza o dei quartieri centrali, secondo un impulso economico che riguarda in modo particolare commercianti e professionisti.

Nel periodo cruciale dell’avvento del fascismo, la comunità orceana accetta senza eccessive rimostranze la nuova situazione, sia per la sua naturale propensione al pacifismo, sia per l’alto numero dei piccoli imprenditori e degli agricoltori tradizionalmente disponibili alla quiete.

Nessun avvenimento degno di nota s’incontra nel ventennio; solo la figura di Mor, direttore didattico, che pubblica due volumi ricchi di notizie particolari sulla vita del comune.

Dopo la seconda guerra mondiale, Orzinuovi conta 12.000 abitanti, la stragrande maggioranza dei quali vive di agricoltura. La ripresa economica e nazionale in un decennio prepara il campo per l’esodo della campagna e per la trasformazione sociale dei paesi agricoli lombardi, in cui i primi aspetti riguardano il generale aumento del tenore di vita, l’espansione edilizia pubblica e privata, l’aumento della scolarità e del numero di tecnici, l’industrializzazione delle campagne e del centro, l’allargamento dei servizi sociali di ogni genere.

In un ventennio la popolazione diminuisce di circa 3.000 abitanti, ma il paese si raddoppia per il numero di case, funzionalmente distribuite intorno all’abitato centrale, secondo l’adozione di un relativo piano regolatore; si arricchisce di giardini e di aree verdi e di ampie strade.

Gli occupati in agricoltura passano dal 60 per cento di prima al 20 per cento e si triplicano al numero degli addetti all’industria e ai servizi terziari.

A Orzinuovi nel 1223 ci fu un terremoto,nel 1380 ci fu peste, con l'apertura di un piccolo lazzaretto, divenuto poi ospedale di San Bartolomeo fuori porta, a nord dell'abitato, gestito dall'Ordine degli Umiliati,nel 1471 un altro terremoto nella bassa bresciana e nel cremonese: la gente, impaurita, uscì nei campi circostanti la fortezza e vi sostò per vari giorni.
Nel 1474 ci fu un'invasione di locuste, con devastazione dei raccolti e conseguente carestia; moria di bestiame e nel 1481 un'altra epidemia di peste o malattia simile; definita dagli autori "mal del zucchetto" e pare abbia mietuto 2000 vittime a Orzinuovi e 400 a Orzivecchi.
Negli anni 1512-1513 ci fu la più dura peste che abbia mai colpito il paese: 3500 morti (su 3900 abitanti) a Orzinuovi, 1000 (su 1100) a Orzivecchi, 450 (su 1000) a Soncino, 1000 nei comuni limitrofi. Descritta con toni angosciosi dal Codagli.
Nel 1570 la carestia e pestilenza ha provocato centinaia di morti che sono sepolti nell'orto della canonica.
Tra il 1576-1577 una nuova minaccia di peste e venne eretta la cappella di San Rocco e un presunto miracolo ferma quindi l'epidemia.
Nel 1630 ci fu la grande peste descritta da Alessandro Manzoni nei Promessi Sposi esteso a tutto il Nord Italia. Dei 2200 cittadini, solo 900 sopravvissuti. I morti sono sepolti nella chiesa di San Giacomo e Filippo.
Nel 1712 Orzinuovi fu colpita da carbonchio e afta epizootica con grande moria di bestiame.
Tra il 1735 e il 1763 ci furono morie di bestiame e pollame praticamente totali.
Il 27 giugno 1783 comincia un pauroso temporale; per tre giorni cadono fulmini ovunque con danni gravi ad abitazioni e raccolti. Per fortuna non ci furono vittime.
Il 12 maggio 1802 un terremoto danneggia la fiancata destra del Duomo.
Nel 1816 Orzinuovi fu investita da carestia e diffusione della febbre petecchiale: 183 morti nel 1816, 198 nel '17
Tra aprile e luglio del 1836 ci fu una violenta epidemia di colera
A dicembre del 1850 ci fu una breve epidemia di colera.
Nel 1866 a seguito di una nuova epidemia di colera fu istituito un lazzaretto pubblico nei pressi dell'ospedale vecchio detto El pasterù'. In occasione dell'epidemia, furono emesse decreti che punivano le famiglie che non denunciavano di avere dei malati.
Negli anni 1885-1886 ci fu una nuova ondata di colera seguito dal vaiolo.
Negli anni 1918-1919 la violenta influenza spagnola uccide 200 persone.
Nel 1978 a Coniolo ci fu una moria di pollame.
Nel 2001 a causa dello scarico di liquami nel lago, viene isolata una parte del piccolo laghetto artificiale presso la città.
Nel 2008 le cavallette devastano i raccolti.
Il 26 luglio e l'11 ottobre del 2014 a causa di fortissime precipitazioni (il solo evento di luglio ha riversato 187 mm di pioggia in poche ore) vengono allagate diverse zone della città con gravi danni ad attività e case private.



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