All'inizio del XVIII secolo il carattere difensivo da sempre riconosciuto alla città di Mantova per la sua singolare e particolare conformazione geografica assunse un valore del tutto inedito. Con l'annessione all'impero asburgico, sancita dalla dieta di Ratisbona nel 1708, Mantova cessò, infatti, improvvisamente e definitivamente, di essere la capitale di un ducato per essere trasformata, di fatto, in un capoluogo di provincia con il ruolo di principale fortezza per la difesa dei territori imperiali dell'Italia settentrionale. Prese così avvio quell'ampio processo di diffusa militarizzazione che a lungo caratterizzò la storia di questo territorio e che portò alla progressiva conversione di Mantova in una città-fortezza. Una trasformazione, attuata in particolare nel corso del XIX secolo per mano di ingegneri militari francesi e asburgici, che vide la progettazione e la realizzazione d'importanti opere, bastioni, forti, lunette, terrapieni e trinceramenti. Un sistema fortificato che rese la città un'efficacissima macchina difensiva, il cui funzionamento non dipese unicamente dal semplice controllo del territorio ma in larga parte anche da un corretto governo delle acque.
Il castello di San Giorgio è uno dei monumenti più rappresentativi della Reggia dei Gonzaga.
Costruito sulle macerie della chiesa di Santa Maria di Capo di Bove a partire dal 1395 e concluso nel 1406 su committenza di Francesco I Gonzaga e su progetto di Bartolino da Novara, il castello di San Giorgio è un edificio a pianta quadrata costituito da quattro torri angolari e cinto da un fossato con tre porte e relativi ponti levatoi, volto a difesa della città.
L'architetto Luca Fancelli, nel 1459 su indicazione del marchese Ludovico III Gonzaga, che liberò ambienti di Corte Vecchia per il Concilio indetto da Pio II, ristrutturò il castello che perse definitivamente la sua primitiva funzione militare e difensiva. Il maniero fu per lunghi anni la residenza di Isabella d'Este, moglie di Francesco II Gonzaga, tra le più celebri nobildonne del Rinascimento. Isabella volle presso la corte numerosi artisti e umanisti dell'epoca, quali Andrea Mantegna, il Perugino, Leonardo da Vinci, Ludovico Ariosto e Baldassarre Castiglione, facendo di Mantova una delle maggiori corti europee e centro artistico e letterario. Nelle prigioni del castello fu richiuso nel 1496 il condottiero Paolo Vitelli, fatto prigioniero da Francesco II Gonzaga.
Il castello, assieme ad altri edifici adiacenti, rimane residenza del principe per circa un secolo, fino al momento in cui Guglielmo Gonzaga trasferirà i propri appartamenti nella Corte Vecchia ristrutturata.
Nel 1810 fu rinchiuso nelle prigioni del maniero il patriota tirolese Andreas Hofer prima di essere giustiziato. A partire dal 1815 con l'occupazione austriaca della città, il castello divenne il carcere di massima sicurezza in cui vennero richiusi gli oppositori. Dal 1852 nel castello vennero rinchiusi i Martiri di Belfiore e alcuni patrioti ad essi legati (Ciro Menotti, Teresa Arrivabene).
Il terremoto dell'Emilia del 2012 ha provocato danni strutturali all'edificio.
La Sala dei Soli, situata al piano terreno e abbellita da affreschi del Quattrocento, fu trasformata da Giulio Romano nel 1531 e quindi da Giovan Battista Bertani.
La Sala degli Stemmi si accede da una scala a chiocciola.
Il Salone degli Affreschi è parallelo alla Sala degli Stemmi.
La Sala delle Sigle è la camera nuziale di Isabella d'Este.
La Saletta della Grotta, fa parte dell'appartamento di Isabella d'Este in castello
Sala delle Armi, nella quale Giulio Romano dipinse 12 stemmi araldici.
La Cappella del castello fu edificata dal Bertani nel 1563.
La Camera Picta (Camera degli Sposi), meravigliosa stanza del piano nobile del torrione nord est del castello di San Giorgio, è opera di Andrea Mantegna. Il Mantegna l'ha realizzata nell'arco di nove anni, dal 1465 (data incisa sulla parete) al 1475 (data incisa sulla lapide celebrativa all'ingresso della sala), e riadatta lo spazio angusto della stanza cubica con volte su lunette in un susseguirsi di realtà e finzione conferendo all'ambiente un'atmosfera en plein air (dando quindi un'idea di trovarsi in un finto loggiato). Lo spazio di ogni parete della camera è stato diviso dall'artista in tre aperture che trasmettono allo spettatore, attraverso ampi archi, paesaggi bucolici e tende mosse dal vento una forte antitesi con il ridotto ambiente architettonico. Gli affreschi sono stati realizzati sia a secco (parete nord; questa tecnica permette una cura minuziosa dei particolari) sia a fresco(parete sud; l'affresco obbliga il pittore ad optare per un gusto più sintetico). Due sono le scene dipinte raffiguranti componenti della famiglia Gonzaga, la "Scena dell'Incontro" e la "Scena della Corte". Con esse Mantegna rende omaggio ai mecenati che tante committenze gli hanno procurato. Nella stanza, non si può stare più di 5-10 minuti perché (usando la tecnica della pittura a secco) l'umidità e l'aria espirata, rischiano di staccare gli affreschi dai muri.
Lo scalone di Enea è un'opera del Bertani del 1549 - da poco eletto dal cardinale Ercole Gonzaga a "Prefetto delle Fabbriche ducali" - collega direttamente il castello col Salone di Manto in Palazzo Ducale. Al termine dello scalone si accede al cortile del castello e al suo loggiato, opera di Luca Fancelli del 1472, su disegno di Andrea Mantegna.
Il forte di Pietole nasce, all’interno del piano di difesa di epoca francese, con il duplice scopo di difendere la diga progettata da Chasseloup nel 1802, coincidente con l’argine di Mincio nel tratto che dal forte giunge alle fortificazioni di Migliaretto, e che governava l’inondazione della valle del Paiolo, e di agire come presidio in difesa del lato sud della piazzaforte di Mantova.Il forte di Pietole è articolato su un tracciato a corona asimmetrico composto da una piazza d’armi centrale separata da numerose opere esterne attraverso un fossato.Dal punto di vista compositivo l’opera si basa su una serie di livelli difensivi che procedono dalla campagna all’interno della piazza d’armi, il primo livello, nonché il più esterno, è rappresentato dalla strada coperta creata con una geometria di rilevati che in origine dovevano superare di poco il metro, il secondo livello compete al fossato secco guardato alle spalle dalla galleria di controscarpa, il terzo livello fa capo alle opere esterne, rivellini e controguardie. Procedendo verso l’interno si trova poi il fossato umido, che di fatto è il quarto livello difensivo ancorché considerato passivo poiché rappresentato dalla sola acqua, e l’ultimo rappresentato dal fronte bastionato della piazza d’armi.Nello specifico l’opera è costituita da tre bastioni terrapienati e murati in laterizio, ai quali si aggiunge un bastione decentrato volto a proteggere il lato est esposto al lago. Dei bastioni sopraccitati solo quello centrale è completo di due facce e due fianchi e presenta una pianta classica pentagonale. Nei fianchi dei bastioni sono alloggiate le casematte da artiglieria per la difesa del fossato, che veniva inondato solo in caso di guerra, il quale bagna direttamente le lunghe cortine terrapienate e ricoperte in mattoni. Le due cortine, spesse fino a 22 metri che hanno la funzione di unire i bastioni, sono attraversate sull’asse simmetrico dalle due vie di sortita che permettono, attraverso un ponte levatoio oggi scomparso, di attraversare il fossato e di raggiungere il piano di campagna. Le opere esterne comprendono due rivellini, opere murate e terrapienate triangolari poste a difesa delle cortine e delle sortite, due controguardie di grandi dimensioni che segnano i limiti più esterni del forte, e due controguardie di connessione ad impianto romboidale. Queste ultime, che hanno lo scopo di irrobustire l’angolo concavo di unione tra i rivellini e le controguardie di grandi dimensioni, ospitano al loro interno due ordini di gallerie e celano le vie di sortita. La struttura del forte viene arricchita da una galleria di controscarpa che percorre l’intero perimetro esterno ai rivellini e alle controguardie. Tale elemento, peculiare di questa fortificazione, fornisce alla struttura un grado di funzionalità assoluta, infatti tutto il perimetro del forte può essere controllato da questo camminamento, protetto dal fuoco nemico che permette ai difensori di prendere gli assedianti alle spalle una volta che essi siano caduti nella trappola del fossato secco. Inoltre in capo ad ogni saliente è posto un ridotto semicircolare, in collegamento con la galleria di controscarpa, il quale consente il tiro di fucileria diretto sul piano di campagna; sotto ad ogni ridotto hanno inizio i cunicoli sotterranei detti di contromina che si estendono circa 3 metri sotto il piano della campagna per uno sviluppo lineare di circa 200 metri. La strada coperta infine, dotata di parapetti e traverse, consentiva la difesa più esterna attraverso il tiro diretto di fucileria diffuso su tutto il perimetro, mentre la difesa lontana era affidata alle artiglierie disposte sui terrapieni di bastioni e rivellini.Di grande interesse è la cura posta già in fase di progetto al collegamento tra i vari livelli difensivi, in particolare tra la piazza d’armi e le opere esterne Chasseloup realizza, sul prolungamento della capitale del bastione di sinistra, una diga-ponte che permette di oltrepassare il fossato umido rimanendo al coperto dal fuoco nemico, in questo modo le truppe di guarnigione avrebbero potuto raggiungere la galleria di controscarpa anche quando il nemico avesse superato quel livello. Successivamente gli austriaci, trovando funzionale questo elemento, lo replicarono trent’anni dopo sul lato destro del forte dando così equilibrio ai percorsi.Alla struttura del forte sono stati aggiunti nel corso degli anni diverse opere a corredarne l’efficienza: una grande polveriera, una cucina, una caserma per fanteria e numerose piccole polveriere per l’uso quotidiano; oltre a ciò negli ultimi anni di attività militare sul suolo del forte sono stati costruiti 23 capannoni in muratura adibiti allo stoccaggio di materiale bellico.L’armamento a metà dell’Ottocento era composto da 102 pezzi d’artiglieria suddivisi in 56 cannoni, 24 obici e 22 mortai.
Le vicende legate alla vita del forte di Pietole iniziano nel 1802 all’indomani della presentazione del piano di difesa della città di Mantova studiato dal generale François de Chasseloup-Laubat. Immediatamente il progettista si preoccupò di definire il dettaglio delle opere per cui nello stesso anno si procedette con la presentazione del piano direttore del forte e con l’avvio della procedura per gli espropri dei terreni. Nel 1803 iniziarono i lavori di costruzione della chiusa posta alla gola del forte e dalla diga-ponte di sinistra che consentiva l’allagamento del fossato.
A partire dal 1804 fino al 1813 proseguirono i lavori con la creazione del terrapieno della piazza d’armi inizialmente non murato, e con la costruzione delle opere esterne terrapienate e murate (rivellini, controguardie e galleria di controscarpa). Nell’anno 1814, a causa del conflitto degli occupanti francesi contro l’Austria, il forte fu messo in stato di difesa e si procedette con la creazione della spianata attorno al perimetro della fortificazione con la conseguente demolizione del borgo di Andes.
A partire dal 1815 il forte fu oggetto di rilievo da parte degli austriaci succeduti ai francesi, una volta accertata la consistenza e lo stato dei lavori già eseguiti il cantiere del forte riprese con nuovo slancio, nel 1835 furono infatti completate le volte murate dei cunicoli di contromina e a seguire furono costruiti i possenti muri di scarpa dei bastioni.
Dal 1840 al 1845 fu la volta della costruzione delle casamatte nei fianchi dei bastioni, ognuna di queste poteva ospitare tre o cinque pezzi d’artiglieria ben protetti dalle spesse volte in muratura e dal terrapieno soprastante. Sempre nel 1845 furono completate le due porte di sortita con ponte levatoio poste sulle cortine, quella di destra fu dotata di corpo di guardia per l’accesso al forte dalla campagna.
Le operazioni militari della prima guerra di indipendenza portarono le artiglierie del forte a far fuoco massicciamente sulle truppe piemontesi accampate a sud di Mantova.
Negli anni 1862 e 1863 fu costruita la grande polveriera posta al tergo del bastione centrale del forte che si aggiungeva alle riservette costruite negli anni precedenti. Nel 1866, all’alba della terza guerra per l’indipendenza italiana, fu modificato il profilo dei parapetti di bastioni e rivellini in modo da poter piazzare le artiglierie in barbetta. Dopo l’annessione di Mantova al Regno d’Italia nell’ottobre dello stesso anno iniziò il progressivo smantellamento degli apparati difensivi cittadini, il forte fu inizialmente incluso nella lista delle opere radiate dal novero delle fortificazioni e successivamente riammesso come deposito di materiali e munizioni. Nel 1917 infatti, colmo di munizioni accatastate oltre i limiti, un incendio, innescato dalla perdita di liquidi incendiari fuoriusciti da alcuni proiettili destinati al fronte isontino, propagò rapidamente raggiungendo la grande polveriera e le casamatte situate nella cortina di destra. Gli effetti di quella esplosione, rimasta nella memoria, sono tutt’ora visibili nel profondo cratere sul luogo dov’era posta la polveriera austriaca.
Gli anni successivi videro il forte sempre impiegato come deposito di materiali per i quali furono costruiti in più riprese magazzini e ricoveri collegati da una rete interna di decauville. Agli inizi degli anni Novanta il forte fu dismesso definitivamente, da allora attende il passaggio in concessione dal Demanio dello Stato al Comune di Virgilio.
Il complesso, in origine noto come "rocchetta di San Giorgio" e solo dalla fine dell'XIX secolo detto "di Sparafucile", è quanto resta delle fortificazioni del borgo di San Giorgio che un tempo sorgeva all'estremità orientale dell'omonimo ponte.
L'esistenza dell'antico borgo è documentata già a partire dal 1116, ma fu nella seconda metà del XIV secolo che Ludovico I Gonzaga, nell'ambito degli interventi tesi al rafforzamento e potenziamento delle difese del suo stato, fece cingere di mura l'abitato dotandolo probabilmente di una rocca con funzione di avvistamento.
Lavori di rafforzamento alle mura e ai terrapieni del borgo furono compiuti, nel XV secolo, anche su indicazioni dell'ingegnere Giovanni da Padova e alla metà del Quattrocento risale probabilmente l'aggiunta di torri quadrangolari alla primaria cerchia di mura protetta da fossato. La struttura rimase sostanzialmente inalterata fino alla fine del XVIII secolo, quando in epoca napoleonica, davanti alle tre aperture presenti nella cinta gonzaghesca furono posti, al di là del fossato, altrettanti lunettoni in terra a difesa delle cortine murarie.
Nel 1801 nell'ambito del piano di potenziamento delle difese dell'intera fortezza fu però ordinata la demolizione dell'antico borgo, considerato insufficiente in relazione alle nuove esigenze difensive, ad eccezione della rocchetta che venne inglobata nella nuova lunetta posta a difesa del ponte di San Giorgio e che solo nel 1914 cessò definitivamente la propria funzione difensiva in seguito alla radiazione dal novero delle fortificazioni e alla cessazione delle servitù militari.
Nel periodo successivo alla Prima guerra mondiale, l'amministrazione comunale, promosse lo smantellamento delle opere difensive per consentire lo sviluppo della città. Nell'ambito di questi interventi, si colloca la demolizione della lunetta di San Giorgio ad eccezione ancora una volta del complesso della rocchetta. Dopo una lunga fase di abbandono negli anni Settanta del Novecento, la Provincia di Mantova si occupò del recupero e della valorizzazione del complesso che fu destinato a Ostello della Gioventù. Nuovamente abbandonato degli anni Novanta, è stato restaurato nel 2010.
La rocchetta così come oggi si presenta, composta da tre corpi di fabbrica di diversa altezza, la vetusta e massiccia torre a pianta rettangolare con finestre e feritoie nelle facciate e i due edifici merlati, è il risultato di una lunga stratificazione di interventi e di molteplici trasformazioni, tra cui l'innalzamento della torre di un piano, l'apertura di nuove finestre ricavate in rottura di muro e la "regolarizzazione" o ampliamento di altre esistenti, che ne hanno alterato l'aspetto originario.
Porta Giulia è l'unica attuale testimonianza delle fortificazioni d'epoca medievale e rinascimentale. Già esistente in epoca bonacolsiana, fu rifatta nell'anno 1549, probabilmente progettata da Giulio Romano. Deve il nome all'esistenza, all'epoca della sua prima edificazione, dell'attigua chiesa di Santa Giulia, successivamente andata distrutta.
"Voltone di San Pietro" o "Porta di San Pietro", sino alla fine del XIII secolo, era una delle tre antiche porte che, inserita nella prima cinta muraria della città, chiudeva l'accesso a Piazza San Pietro (ora Piazza Sordello), centro della civitas vetus.
I due "Portali delle Aquile", muniti di cancellate, avevano la funzione di delimitare lo spazio paesistico circostante Palazzo Te. Il progetto dei portali e dell'area verde che contemplasse viale alberati da adibire al pubblico passeggio, fu affidato nel 1805 a Giovanni Antonio Antolini, Regio Architetto ed Ispettore dei Reali Palazzi di Mantova. Le aquile che sormontano i portali, furono disegnate dall'architetto bolognese e scolpite nel 1808 dal veronese Gaetano Muttoni. Nel 1990 i Portali delle Aquile furono restaurati su iniziativa del F.A.I. Fondo per l'Ambiente Italiano.
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