sabato 20 giugno 2015

LE CITTA' DELLA PIANURA PADANA : PONTEVICO

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Pontevico è un comune italiano della provincia di Brescia.

Il nome di Pontevico deriva da Pons Vici, mentre i nomi delle frazioni derivano:
Bettegno dal romano Betutius;
Campazzo, probabilmente, da campaccio.

Il fiume Oglio fu per Pontevico un notevole porto militare e commerciale sin dalla preistoria, numerosi sono i ritrovamenti di piroghe conservate per secoli nel suo letto di sabbia. Con la “barbotta” (tipiche barche di fiume con la chiglia piatta) si trasportava la sabbia e la ghiaia che i cavatori estraevano dal fiume, ammucchiata sulla riva e poi venduta ai costruttori di fabbricati.

Abitato fin dall’antichità, è posto in posizione strategica sul fiume Oglio, naturale confine con Cremona. I bresciani, dopo l’anno Mille, vi costruirono un castello che inizialmente appartenne ai Martinengo, i quali, nel 1127 lo promisero al vescovo e ai consoli di Brescia. Nel 1208 i fuoriusciti bresciani cercarono di impossessarsene per consegnarlo ai cremonesi.
Si ritiene che Pontevico fosse il "portus brixianus" punto di arrivo delle merci provenienti dal Po e dirette a Brescia. Fin dal sec. VI l'importanza della navigazione era tale che Teodorico aveva imposto di togliere le attrezzature da pesca lungo il corso d’acqua affinchè non impedissero il passaggio dei natanti.

Antichi documenti risalenti al 1255 narrano di undici mulini funzionanti sull'Oglio in territorio di Pontevico, a testimonianza della rilevanza economica della zona.
Il borgo antico era in realtà costituito da due nuclei distinti, ciascuno caratterizzato da una chiesa e una rocca; l’attuale Pontevico si è sviluppata a partire da uno dei due, crescendo intorno alla pieve di Sant'Andrea.

Il 1° novembre 1237 l'imperatore Federico II, prima dell'assedio di Brescia, marciò verso la propria alleata Cremona e incendiò Pontevico. Tuttavia, dopo la sconfitta dell'imperatore a Parma nel 1248, i bresciani riconquistarono la rocca che, alcuni anni più tardi (1260) subì la devastazione da parte di Oberto Pallavicino.
Nel 1308 gli abitanti di Pontevico fecero prigioniero il vescovo di Butrinto (Albania), inviato dall'imperatore Enrico VII. Il vescovo ottenne il permesso di recarsi a Soncino ad acquistare del vino, sorvegliato da un religioso di fiducia dei pontevichesi. Ma, appena giunto a Robecco, finse di essere stato fatto prigioniero dal castellano cremonese e rispedì a Pontevico il religioso col vino.
Nel 1362 Pontevico fu occupata dalla lega anti-viscontea, salvo la rocca, che resistette.
Ai primi del 400 Pandolfo Malatesta, diventato signore di Brescia, usò il castello come base per osteggiare la nemica Cremona.
Il periodo seguente al passaggio sotto il dominio veneziano fu caratterizzato da anni avventurosi, ma anche di prosperità per il paese che godette da parte della Serenissima di privilegi ed esenzioni.
Nel 1438 Iacopo Piccinino, diretto all'assedio di Brescia, conquistò Pontevico senza violenza.
Nel 1452 lo Sforza, che al servizio di Venezia aveva rioccupato il castello nel 1440 ed era nel frattempo diventato duca di Milano, attaccò Pontevico e la prese in due giorni. Nuovo assedio l'anno successivo da parte dello stesso Piccinino: dopo un lungo bombardamento occupò il paese e ne potenziò le fortificazioni. Nell'autunno dello stesso anno nuovo bombardamento, questa volta da parte dello Sforza, che concesse ai suoi soldati il saccheggio, particolarmente spietato soprattutto da parte dei mercenari francesi. Solo dopo la pace di Lodi del 1454 gli abitanti tornarono in paese e ricostruirono la fortezza, innalzando tre anni più tardi due nuovi torrioni, col munifico contributo di Venezia.
Nel '500 alcuni monaci agostiniani collocarono a Torchiera dei torchi da lino, dando inizio a un'attività che durò fino all'800.
Nel 1509 la rocca fu occupata dall'esercito francese (vi sostò il re Luigi XII). L'anno seguente la popolazione si rivoltò contro gli oppressori, provocando il tempestivo intervento di Giangiacomo Trivulzio, il quale vinse la pur strenua difesa consentendo ai propri soldati il saccheggio. Dopo queste vicissitudini ebbe inizio un'intensa vita culturale che portò alla nascita, nel corso del '500, di accademie-scuole.
Il castello dei Martinengo rimase agli spagnoli fino al 1519; nella seconda metà del 500 la sua importanza strategica cominciò a declinare. Il capitano veneto di Brescia, Giovanni da Lezze, scrive nel suo Catastico del 1610: "Con grandissimo disordine vi è permesso la distrutione delle case che vi son dentro". Restava una guarnigione: il "ponte è guardato da una fortissima rocca con guardia di soldati, bombardieri". Il perimetro della rocca era di 800 passi e gli abitanti del paese erano 5 mila. Pontevico contava all'epoca undici frazioni o fienili alle proprie dipendenze.
Nel 1630, la peste manzoniana falcidiò duemila persone tra la guarnigione e gli abitanti.
Durante la guerra di successione spagnola, nel 1701 il generale austriaco Eugenio di Savoia fece del castello la sede del proprio stato maggiore.
Nel lungo periodo di pace che seguì fiorirono iniziative economiche e benefiche. L'estimo del 1750 conta numerosi mulini, due dei quali con quattro ruote, e un maglio.
Nel 1816-18 fu costruito il teatro.
Nel 1880 divenne parroco e abate di Pontevico don Bassano Cremonesini, originario di Lodi, che suddivise le proprietà della parrocchia affidandole a un forte gruppo di piccoli conduttori agricoli, che ne aumentarono la redditività. Costituì una società operaia cattolica, una latteria sociale (1903) e una cantina sociale.
Nel 1898, in clima di repressione contro il proletariato, la società "San Giuseppe", che organizzava oltre 300 tra contadini e operai, fu tra le prime a essere sciolte dall'autorità militare.
Nell'estate 1882 dieci braccianti agricoli furono condannati a diversi mesi di carcere perché colpevoli di aver chiesto di essere pagati per il taglio del frumento e una retribuzione durante l'inverno.
Tra gli avvenimenti recenti si ricorda, nel 1977, il crollo del ponte sull'Oglio.

Il castello edificio glorioso, fu fondato poco dopo il mille e vide succedersi nel suo interno personaggi di altissimo rango. Con la caduta della Repubblica Veneta (che l'ebbe in dominio dal 1426 al 1797) perse qualsiasi importanza militare e strategica e, dopo alcuni anni di abbandono nelle mani del Demanio, venne acquistato dall'industriale cremonese Pietro Cadolini per collocarvi una fonderia.

Con cinque forni a riverbero, la fonderia funzionò una trentina d'anni, in collegamento con l'altra che da molti più anni era attiva nella parte bassa del paese, poco distante dal cimitero. Ritiratosi dall'attività industriale il Cadolini vendette il Castello ad un principe tedesco, certo Kewmuller, che era intenzionato a ricostruirlo dalle fondamenta per un'abitazione signorile e per varie attività industriali.

Nel 1844, su progetto dell'Ing. Emilio Brilli, iniziarono i lavori di demolizione e di inalzamento dei nuovi edifici, ma dopo quattro anni erano state innalzate soltanto due ali del grande quadrilatero.

Quando Mons. Cremonesini acquistò il complesso il 6 febbraio 1900 dalla nobile contessa Costanzina Borromeo D'Adda, cui era pervenuto per eredità dal Kewmuller per dote matrimoniale, godette della raccomandazione fraterna dell'Eccellentissimo Mons. Geremia Bonomelli, intimo dei Borromeo.

L'abate che non era solito perdere tempo nell'affrontare i problemi che riteneva pressanti per la loro gravità, si affrettò appena perfezionato l'atto di acquisto del castello e la sua liberazione da parte dell'affittuale Casarotti, a predisporre i locali per l'accoglienza delle ammalate che, per natura dei loro disturbi e la speciale sorveglianza di cui avevano bisogno, erano rifiutate dagli altri istituti. La casa venne ufficialmente aperta il 18 marzo 1901, con l'accoglienza di due ricoverate da parte del fondatore e di tre suore Ancelle della Carità che la Rev.ma Madre Generale Felice Passi fu lieta di accordare al Cremonesini avendo compreso l'importanza dell'opera che stava sorgendo a Pontevico.

Nei primi tempi nella Casa regnò sovrana la povertà. Tuttavia per la nuova Opera l'Abate seppe attivare in molti abitanti del paese una catena di cordiale carità che contribuì ad attenuare i disagi della prima ora e, in pochi mesi, a garantire alle ospiti dell'Istituto una vita decorosa.

Nel 1910 fu emanato il Decreto Reale di riconoscimento con il titolo di "Casa di ricovero per Frenasteniche ed Epilettiche" in Pontevico. Contemporaneamente venivano approvati lo Statuto Organico ed il regolamento Interno. L'assestamento giuridico della fondazione parve porre le ali al suo cammino, tanto che il fondatore decise di completare in breve tempo il quadrilatero del castello: nel 1911 fece innalzare l'ala a sera e nel 1912  quella a mattina.

La morte improvvisa dell'Abate Cremonesini nel pomeriggio del 29 dicembre del 1917 non interruppe il cammino dell'opera da lui fondata. Nel 1926 la Comunità pontevichese celebrò con gran pompa il XXV di fondazione dell'Istituto, presente il Vescovo diocesano Mons. Giacinto Gaggia.

Un serio incidente capitò nel 1929 allorquando scoppiò un incendio nel III reparto, che provocò la caduta di una trave. Il bilancio del malaugurato incidente fu di una ragazza morta e di una ventina di ferite. Nello stesso periodo si dovette provvedere d'urgenza alla demolizione della grande torre centrale del corpo sud del castello perchè minacciava rovina.

Nonostante la richiesta di ricostruzione da parte di molti pontevichesi che la ritenevano un elemento tipico del paesaggio di Pontevico, non se ne fece nulla fino agli anni settanta. Un evento gravissimo fu lo scoppio della seconda guerra mondiale che, nell'ultimo periodo di belligeranza arrecò danni ingentissimi alle strutture murarie del castello.

Agli inizi degli anni sessanta si presentò come indilazionabile la soluzione di due grossi problemi: quello attinente il personale in servizio all'Istituto e quello attinente il personale in servizio all'Istituto e quello riguardante il rifacimento dell'antica struttura del quadrilatero del castello.
Al piano terra troviamo i soggiorni, i refettori, le sale per le visite alle ospiti, la portineria, la sala consigliare e gli uffici amministrativi. Al I e al II piano furono sistemati i vari dormitori. Un reparto venne allestito per le Suore e quattro sale vennero destinate per la scuola. Ogni reparto ebbe a disposizione un proprio cortile.

Ai grandi cambiamenti strutturali si pensò di far seguire anche il cambiamento del nome dell'Istituto: da "Casa di ricovero per Frenasteniche ed Epilettiche" si passò a "Istituto Neuropsichiatrico Abate Cremonesini". L'approvazione arrivò l'8 novembre 1966 col Decreto Presidenziale della Repubblica Giuseppe Saragat.

La chiesa Parrocchiale dei Santi Tommaso e Andrea apostoli fu edificata nel '500, per essere poi ricostruita nel 1700.
Essa contiene dipinti di Grazio Cossali, Antonio Gandino, Angelo Paglia.
La chiesa subì danni in un incendio nel 1959.

Il territorio di Pontevico è situato all’interno del “Parco del fiume Oglio” e fa parte con la verde oasi delle Vincellate, insieme con Verolanuova, Verolavecchia e S.Paolo, del “Parco sovvraccomunale del fiume Strone” ultimo lembo esistente delle zone umide della bassa bresciana.

Poco fuori dell'abitato, nei pressi del cimitero, sorge la Palazzina, una delle più notevoli case signorili della Bassa.

Cinquecentesca, oggi ridotta a cascina, fatta con mattoni rossi provenienti dalle fornaci cremonesi. Le tre atipiche arcate della facciata giungono fino alla gronda del tetto e sono sostenute da grosse colonne in muratura. A nord e a sud due grandi portali consentivano il passaggio dei carri, mentre su uno spigolo vi è anche una guardiola.

All'interno vi sono belle sale decorate con stucchi e numerosi affreschi.
La volta più bella è quella di una piccola sala a nord, con affreschi, forse di scuola cremonese, di storie ed episodi biblici.

Villa Martinoni costruzione di mole massiccia risalente alla prima metà del 700, con un originale cornicione ad archetti sotto la gronda. Sopra il tetto una specie di torretta con quattro finestre. Nel muro di cinta un grande arco monumentale in pietra chiara.

Il portale d'ingresso al salone è in bel stile rococò. Antistante il portale prospicente la contrada vi è una bella cancellata in ferro, di puro stile settecentesco, che immette nel brolo. E' la classica vista di gusto barocco: il cono ottico fra Palazzo e giardino. Qua siamo in campagna e allora la vista si perde su uno spazio più utile del gaio giardino di città: il brolo.

Il complesso subì vari ritocchi e aggiunte nelle case a mattina dove sono presenti edifici ottocenteschi tra i quali una torretta passeraia in stile neogotico visibile fiancheggiando la strada che immette sulla strada statale.

Il portale di villa Simonelli è molto semplice, se non addirittura povero, non fa presagire invece quale notevole corte e scenari architettonici racchiuda all'interno. Infatti si presenta con una splendida aia, ancora parzialmente pavimentata in cotto, delimitata da barchesse e porticato con loggiato in legno, quest'ultimo per nulla tipico della Bassa.

Interessante il locale della scuderia nella porzione rustica. Esaminando la facciata del Palazzo ci si trova di fronte ad un bel esempio di architettura del seicento bresciano. Comignoli ben disposti, gronda rigorasamente a mensoloni (anche se nella versione già leggermente aggraziata), portale massiccio a forti bugne assai diffuso nel XVII secolo anche in città.

Le finestre sono adeguate alla sua epoca. L'interno dei locali a piano terra è a volta a carena. al piano superiore i soffitti sono piani con travetti in legno non decorati. Si menzionano due bei camini. Proseguendo l'itinerario verso est, merita attenzione la canna fumaria e relativo comignolo sul lato sinistro.

Di fronte, un edificio, probabilmente una casa a torre, con tracce di una finestra ogivale tamponata. Le banchine sono in cotto, e se originarie, sono tra le poche rimaste a documentarci il passaggio dalla cultura del cotto a quella della pietra, avvenuto in terra bresciana intorno alla metà del '400.

L'edificio di fronte, con le finestre quadrangolari leggermente arcuate, doveva fungere da magazzino alla proprietà dei nobili Archetti. Le finestre originarie si intravedevano appena sopra gli archivolti di quelle esistenti. le iniziali di Carlo Archetti sono riportate sulla chiave di volta del portale settecentesco al civico n° 21, unitamente ai due archetti che ne erano lo stemma di famiglia.

A lato del portale una finestra di forma quadrangolare riquadrata in pietra, che, se superstite originaria, contribuirebbe a comunicarci che questa porzione di edificio esisteva già fra XIV e XV secolo. Anche le volte nell'androne ed i pilastri in pietra del cascinale interno fanno pensare a quel periodo.



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