martedì 23 giugno 2015

ALBAVILLA



Albavilla è un comune della provincia di Como situato nel Triangolo Lariano fa parte della Comunità Montana del Triangolo Lariano.
Il territorio di Albavilla, come tutto il resto del Piano d’Erba, è stato abitato dall’uomo fin dall’età neolitica: reperti di questa era sono stati rinvenuti nella grotta del Buco del Piombo e nelle torbiere di Bosisio e Pusiano. Non si sa se i primi abitanti fossero Orobi, Etruschi o Umbri, ma da alcuni ritrovamenti si evincono alcuni elementi di origine celtica.Tracce di questi antichi insediamenti sono rimaste nella nostra toponomastica: il Montorobio prende il nome probabilmente dagli Orobi, “viventi sui monti” così denominati da Catone, giunti dall’Europa centrale, che nella zona portarono l’uso di costruire le loro abitazioni su palafitte (resti ne sono stati ritrovati nei laghi di Pusiano e Montorfano). Vicino al Montorobio si trova una località denominata Castlasc, il cui nome sembrerebbe indicare che possa essere stata sede di antichi “castellieri”, recinti di difesa con all’interno abitazioni, risalenti all’età del ferro.
Nel corso dei secoli si sono stabiliti in queste zone Liguri, Etruschi, Umbri (o Isombri o Insubri, da cui la denominazione Insubria, risalente al 1100 a.C.). Dal nord verso la metà del VI secolo a.C. giunsero popolazioni celtiche, che si fusero coi popoli preesistenti dando origine ai Galli cisalpini che si scontrarono per due secoli coi romani, finchè questi fecero dell’Italia settentrionale una provincia romana, alla quale concessero la cittadinanza nell’89 a.C.
Numerosi i reperti di epoca romana, tombe con monete, terrecotte, bronzi, venuti alla luce un po’ in tutte le zone del paese. Lo storico cinquecentesco Alciato (alzatese) collocava in Albavilla la villa dell’ “Alsium” o “Albium”, dimora prediletta dal generale e console romano Virginio Rufo. Una vecchia tradizione vuole che soggiornasse ad Albavilla anche Cicerone, ospite di un Roscio da lui difeso con successo da un’accusa di omicidio. Altri ospiti illustri si ipotizza siano stati i due Plini (il Vecchio e il Giovane), Crito Venno, Ipsulla. E con questo ruolo di “villa” si spiega l’etimologia del nome Albavilla, la vecchia Villalbese, l’antico Vicus Alpensis o l’ancor più antica Villa Albensis, tutte indicanti una località di riposante soggiorno in zona di pascoli montani. Dal terzo secolo in poi ci fu un susseguirsi di invasioni da parte dei barbari: Franchi, Alemanni, Goti, Visigoti, Vandali, Unni, Longobardi. A questi secoli risalgono probabilmente i ruderi delle fortificazioni che esistevano nel Buco del Piombo. Scarsi i documenti di questo periodo: si sa che Albavilla sotto il governo longobardo franco apparteneva alla Pieve di Incino, facente parte del contado della Martesana.
La frazione di Carcano che potrebbe dovere il suo nome ad un duca longobardo, di sicuro fu centro di un capitanato brianteo, sede di un castello. In questo castello nel 1160 si asserragliarono i sostenitori dell’imperatore Federico Barbarossa  in guerra contro Milano e i comuni suoi alleati. Il castello con due rocche sorgeva sull’area attualmente occupata dalla chiesa e dal cimitero ed era difeso per tre lati da un profondo vallo naturale, rimanendo accessibile solo verso Tassera. Il 9 agosto si combattè con alterne vicende la battaglia di Carcano-Tassera. Vittoriosi i milanesi all’inizio, prese poi il sopravvento il Barbarossa che distrusse il carroccio, simbolo dei liberi comuni. I milanesi ricevettero però rinforzi da Erba ed Orsenigo ribaltando l’esito della battaglia. Federico si diresse al Baradello di Como, abbandonando a se stessi i suoi sostenitori asserragliati nel castello di Carcano. I milanesi mantennero invano l’assedio al castello per quasi un mese, abbandonandolo il primo di settembre per rientrare a Milano. Solo molto più tardi il castello cadde nelle mani dei milanesi che lo distrussero completamente. Nel 1183, con la pace di Costanza tra Comuni ed imperatore, i paesi con la Martesana furono annessi a Milano.
Sotto la dominazione spagnola nei secoli XVI e XVII ci fu un generale  impoverimento, decaddero il commercio, l’agricoltura e l’artigianato. La popolazione conobbe la miseria, aggravata dalle ruberie dei banditi, dalle carestie e dalle pestilenze.  Nel 1707 subentrò il dominio austriaco che, salvo un breve ritorno spagnolo nel 1745-46 e la parentesi francese del dominio napoleonico, durò fino al 1859. La situazione migliora: vengono ridotte le tasse, adottate riforme amministrative, favoriti commercio e agricoltura. Sotto il governo di Maria Teresa nel 1755 si stabilì un nuovo metodo di amministrazione comunale: i possidenti di ogni comune si riunivano in “Convocato” due volte al mese per decidere sulle nomine e sulle spese del comune. Le riunioni si tenevano a Villalbese nella sala maggiore della casa parrocchiale detta “Sala comunale” e nella piazza attigua denominata “Praello”. La popolazione si raddoppiò in un trentennio passando da 554 abitanti a 1056 (1760), grazie anche all’assorbimento di Saruggia che prima faceva comunità a sé.
Del ventennio della dominazione francese (1796-1814) resta un ricordo toponomastico: l’Alpe del Viceré prese infatti il suo nome da Eugenio di Beauharnais, figliastro di Napoleone, Viceré d’Italia. Il Viceré aveva infatti comprato l’Alpe per tenerci i suoi cavalli. Nel 1800  Villalbese con il distretto di Erba passò definitivamente a far parte delle provincia di Como.
Nel 1859 il comune fu annesso al Regno d’Italia. Nei decenni successivi il paese subì un’importante trasformazione economico-sociale, passando da villaggio prevalentemente dedito all’agricoltura a centro importante dell’industria serica e centro di villeggiatura.
Il 14 giugno del 1928 Carcano e Villalbese si fusero in un unico comune che prese il nome di Albavilla. Nel 1931 Molena, Ferrera ed altri cascinali vennero assorbiti da Albavilla, da cui già dipendevano ecclesiasticamente.
Nel 1914 viene aperto l'attuale viale Matteotti e nel 1934- 1935 la strada che conduce all'Alpe del Vicerè, ultimata la quale si ha la costruzione di un “Villaggio alpino per i Figli degli Italiani all'Estero”.
Nel 1939 la sede dell'attuale palazzo comunale (risalente al 1896), viene ampliata. Anche gli impianti di approvvigionamento e distribuzione delle acque sono oggetto di interventi e di rifacimenti: acquedotto del Cosia con prelievo presso la diga di Leana (1907), Molena e Carcano (1937), sorgenti di Alserio (1959), rinnovo della rete di distribuzione (1961).
Il paese si dota di mezzi di comunicazione che vanno a sostituire le vecchie diligenze a cavalli: autocorriera sulla linea Como-Erba-Canzo-Asso e nel 1911 la tranvia Como-Erba che verrà successivamente prolungata fino a Lecco. La tranvia verrà sostituita nel 1955 da un servizio con pullman. Il comune stanziò anche una somma per la ferrovia Milano-Erba, inaugurata nel 1880.
Il primo cittadino del paese a essere nato nel 1928 è Ampelio Corti al quale è stato consegnato un attestato di riconoscimento.
Il paese durante buona parte del Novecento ha rappresentato un centro di villeggiatura soprattutto per numerosi turisti brianzoli e milanesi, grazie a luoghi quali l'Alpe del Vicerè con l'Albergo La Salute.
L'afflusso turistico è andato via via calando per ridursi ai soli turisti domenicali, richiamati dall'Alpe del Vicerè o dalle iniziative (sagre e fiere), come la festa dei Crotti, organizzata in paese, che richiamano ogni volta moltissime persone.
L'agricoltura e l'allevamento del bestiame, salvo qualche caso sono quasi scomparse, così come la crisi dell'industria serica che ha portato alla chiusura delle storiche filande (Civati, Rejna, Porro, Borselli, Giobbia, Feloy e ultima la Dubini), che offrivano occupazione agli abitanti di Albavilla.
Attualmente le attività produttive, che si concentrano prevalentemente nella parte sud del territorio, sono concentrate sulla meccanica, la tessitura-tintoria, edilizia, florovivaistica, falegnameria e sul terziario.
Numerose sono le scoperte archeologiche avvenute ad Albavilla a dimostrazione della dimora dei Romani e dei vari popoli che li precedettero nel territorio.
Nel 1957 nella grotta detta "Tanun" in valle Cosia, vennero ritrovati due strumenti litici assegnati ad un complesso paleolitico di facies musteriana. Altro monumento di una certa antichità è il masso-avello di Parravicino, che venne giudicato una tomba gallica.
Altre tombe galliche o celtiche vennero alla luce qua e là sul territorio, ma veramente ricchissima puo' dirsi la terra di sepolcri romani. La zona di Ferrera in avanti puo' considerarsi addirittura una necropoli romana, tante furono e sono le tombe scoperte.
Una vera collezione di bronzi imperiali, coniati nei primi 4 secoli dell'era cristiana è affiorata in superficie. Fra di essi figurano monete di Augusto, Claudio, Domiziano, Traiano, Adriano, Antonino Pio, Faustina, Commodo, ecc.: le più antiche di zecca romana, le più moderne delle zecche di Treviri, Arles, Sirmio, Sciscia, Costantinopoli ed Aquileja.
Nel 1829 sui colli venne ritrovato un sepolcro contenente un medio bronzo di Augusto, due vasi ed alcune olle ripiene d'ossa; all'interno su un marmo inferiore c'era un titoletto scolpito con scritto "Crito Venno".

Nella Cascina Lodorina, nell'Aprile 1902, negli scavi per la costruzione di un crotto, si trovò una tomba costituita da cellette di rozze lastre, contenente tre vasi in terracotta, una moneta romana irriconoscibile e un ago crinale in bronzo.
Nel 1914 nella sistemazione dell'attuale viale Matteotti, per un più agevole raccordo con la provinciale, giunti al sito "Coetta" alla profondità di circa 80 cm. trovarono una tomba senza coperchio, con i lati formati da quattro lastroni di sarizzo e col fondo pavimentato di tegoloni del tipo romano. Contaneva solo uno scheletro ed un'aforetta, giudicata successivamente di periodo romano assai tardo, cioè del quinto secolo d.C.
Nel 1951, scavando per un impianto d'acqua in via Dante è stato messo allo scoperto un antico sepolcro di epoca incerta. La tomba era alla profondità di soli 20 cm. dall'acciottolato stradale e disposta parallelamente alla soglia del portone d'ingresso di una casa molto antica. Era una tomba a cassetta, formata cioè da rozzi sfaldoni di pietra locale e di dimensioni normali; il fondo era costituito da terreno argilloso. Non conteneva altro che poche ossa ed un teschio friabili.
Nel febbraio 1964, durante lavori di scavo per la costruzione di una casa in località Gallett di Ferrera è stato rinvenuto in cocci il contenuto di una tomba romana franata nel terreno.
La tomba, piccola, a pozzetto e composta da ciottoli a secco, conteneva un olpe in terracotta, di cui era salva una parte  di collo con ansa a nastro e alcuni cocci; un vaso con decorazioni a graffito, pure in cocci; due patere delle quali era rimasto ben individuabile il fondo e qualche parte.
Nessuno degli oggetti risultò ricomponibile, dato il forte numero di cocci mancanti; la diversità delle ceramiche ha fatto inoltre pensare alla possibilità che il materiale rinvenuto appartenesse a due tombe diverse.
I contorni dei cocci, molto levigati, davano a vedere di essere rimasti a lungo sottoterra e non spaccati di fresco, per cui si è avanzata l'ipotesi che la tomba sia stata aperta anticamente e manomessa.
Nel 1973 sono venuti alla luce, sempre nella zona di Ferrera, alcuni corredi di una necropoli romana andata in gran parte distrutta lungo via Panoramica, e poco più tardi in via S. Maria di Loreto due tombe in sfaldoni di pietra locale prive di corredo e datate ad età medievale e lì vicino una tomba romana datata all'età giulio-claudia.
Molti altri sono stati i ritrovamenti tra cui, di recente, quelli avvenuti in diversi punti di una vasta area coltivata a prato ubicata alla periferia di Albavilla nella località denominata Molena, nei pressi della chiesetta della "Madonna di Loreto". Alcuni smottamenti del terreno avevano messo in luce, nella primavera del 2004, una stratigrafia archeologica, in particolare una delle frane aveva messo in evidenza un tratto di muratura assieme a frammenti di embrici ed alcuni reperti ceramici di età romana. Essendo la zona interessata in quel periodo da un progetto di costruzione della nuova casa di riposo "Opera Pia Roscio", il Ministero per i Beni e le Attività Culturali decise di eseguire una campagna di indagini preventive nell'autunno dello stesso anno. L'indagine venne eseguita mediante saggi; due di essi hanno evidenziato una presenza antropica ben evidente consistente nel rinvenimento di strutture quali una cisterna per acqua, parte di un ambiente, una vasca e un successivo gruppo di sepolture. La zona è stata così dichiarata di interesse archeologico e quindi sottoposta a tutte le disposizioni di tutela.

Eugenio di Beauharnais, figliastro di Napoleone Bonaparte e da lui nominato Vicerè d'Italia, amava molto soggiornare presso la sua residenza estiva in riva al lago di Pusiano, l'attuale Palazzo Carpani-Beauharnais. Durante il periodo del suo viceregno, nel 1810 il Principe aveva acquistato l'ampio pianoro che si allarga sui contrafforti del Monte Bolettone - oggi chiamato appunto "Alpe del Vicerè" - per farvi costruire un grande fabbricato per il soggiorno estivo dei suoi famosi e preziosi cavalli. In seguito, dopo alterne vicende, la zona passò in proprietà al Conte Turati (Alpe Turati) e divenne poi un alpeggio per la "carica" del pascolo stagionale, mentre la struttura venne trasformata in albergo per villeggianti, (Albergo la "Salute"). Negli anni Trenta, per la salubrità dell'aria e per la posizione di questi luoghi, nelle immediate vicinanze era stato costruito un Campeggio dell'Opera Nazionale Balilla, che poi fu trasformato in un grande villaggio alpino. Durante le fasi più cruciali della seconda Guerra mondiale, qui alloggiarono l'Accademia Navale, l'Accademia Aeronautica e le "SS" italiane; il villaggio venne successivamente distrutto da un bombardamento aereo degli Angli-americani nel febbraio-marzo del 1945.
Tutta l'area riveste una eccezionale impresa paleontologica, dovuta all'affioramento di una successione rocciosa di età giurassica inferiore (180 - 200 milioni di anni fa), caratterizzata da una notevole ricchezza di Ammoniti (Molluschi Cefalopodi marini fossili). Oltre all'interesse paleontologico, questa zona è anche peculiare per la sua morfologia carsica: le rocce calcaree del substrato sono infatti interessate da fenomeni di tipo carsico , determinati dall'azione corrosiva delle acque piovane rese "aggressive" dalla presenza di anidride carbonica disciolta, con formazione di cavità, grotte e voragini. Il complesso "Alpe del Vicerè - Buco del Piombo" è uno dei più interessanti dal punto di vista speleologico di tutta la Lombardia.

Oggi il comune di Albavilla, dopo un paziente recupero aziendale , ha attrezzato l'area con alcune strutture ricreative per i gitanti che nel periodo estivo vanno in cerca di qualche ora di relax a contatto con la natura, trasformandola in un piccolo parco che dispone di parcheggi, barbecue in pietra, tavoli e panchine in legno. La vicina presenza poi di ristoranti tipici e rifugi alpini, soddisfa le aspettative dei più esigenti e degli appassionati di trekking. Chi si ferma all'Alpe del Vicerè per una giornata rilassante, può raggiungere la vicina chiesetta di S.Rita, dove sono allestiti alcuni pannelli didattici sulla flora, sulla fauna e sulla storia della zona.

Il Buco del Piombo è un vero e proprio museo naturale all'aperto, che presenta molteplici motivi di interesse.
Dal punto di vista geologico il Buco del Piombo è scavato quasi totalmente nel calcare detto Maiolica, formazione sedimentaria di origine marina depositatasi sul fondo di un antico oceano durante l'ultimo periodo dell'era Mesozoica, il Cretaceo. Si tratta di una roccia calcarea bianca compatta e ben stratificata, che presenta inclusioni di selce, una roccia silicea. La denominazione della grotta può essere ricondotta probabilmente alla caratteristica patina di alterazione di colore grigiastro che si forma sugli affioramenti di Maiolica. L'origine di questa cavità è legata a fenomeni di tipo carsico, determinati dall'azione "corrosiva" delle acque piovane - rese aggressive dalla presenza di anidride carbonica disciolta - sulle rocce calcaree facilmente fratturabili ed erodibili che costituiscono l'ossatura geologica del Triangolo Lariano. Questa incessante opera ha portato, nel corso di milioni di anni, alla formazione di un intrico di gallerie che si snodano sotto il pianoro dell'Alpe del Viceré. L'insieme di tali gallerie costituisce appunto il complesso carsico "Alpe del Viceré", di cui il Buco del Piombo è solo una parte. L'ingresso è imponente e scenografico: misura 45 m di altezza per 38 di larghezza, ed è occupato per buona parte da una coltre di detriti residui di un antico riempimento e dei rimaneggiamenti antropici iniziati già in epoche storiche. Anche l'interno della grotta è un ambiente molto particolare; le acque che scolano sulle pareti e sulla volta contengono in soluzione sali minerali calcarei che si depositano dando origine a stalattiti, stalagmiti e complicate concrezioni levigate. Acque scorrono anche nella caverna, o ristagnano in piccole raccolte, dal livello estremamente variabile, espressione del complesso sistema drenante carsico. La grotta è colonizzata da una microfauna molto peculiare, costituita da forme tipicamente cavernicole, cioè strettamente adattate a questo ambiente, tra cui Planarie, piccoli Crostacei, Miriapodi, e, tra gli Insetti, alcuni Collemboli e Coleotteri Carabidi.
Uno dei motivi di notorietà del Buco del Piombo è legato al ritrovamento del cosiddetto "Banco degli Orsi", un notevole accumulo di ossa dell'Ursus spelaeus, mammifero plantigrado che si estinse attorno a 18.000-20.000 anni fa durante l'ultima avanzata glaciale. Ma anche l'uomo, nei secoli, ha lasciato le sue tracce in questa grotta. Durante il Paleolitico Medio e Superiore, gruppi di cacciatori nomadi frequentarono, seppur saltuariamente, il Buco del Piombo: ne sono testimonianza numerosi manufatti litici (prevalentemente schegge in selce) ritrovati all'interno. Nel vestibolo, a più riprese, sono stati inoltre rinvenuti frammenti ceramici ed altri materiali di epoca romana (sec. IV-VI d.C.) e medioevale, quando la grotta fu fortificata con la costruzione di un ampio fabbricato che ne sbarrava l'ingresso. La struttura era protetta da quattro ordini di mura ed era costituita da diversi piani sovrapposti, come testimoniano gli incavi allineati lungo le pareti che alloggiavano le travature sostenenti i pavimenti ed i soffitti. Infatti il Buco del Piombo fu più volte utilizzato come rifugio per gli abitanti di Erba durante le ripetute vicende belliche che travagliarono la zona nel Medioevo, oppure come ricovero provvisorio per sfuggire a pestilenze.

Il profilo del monte Bolettone è facilmente riconoscibile ad occhio nudo dalla città di Milano e dalla pianura, per l'inconfondibile filare di abeti, che dalla cima scende verso valle. La cresta del monte Bolettone è spartiacque e divide a nord il comune di Albavilla dal comune di Faggeto Lario, a ovest dal comune di Albese con Cassano, a est dal comune di Erba. A sud vi è la vallata di Albavilla in cui scorre il fiume Cosia che, sulle pendici del Bolettone, ha le sue sorgenti.
In vetta, nel 1964, per opera del Gruppo Bolettone, è stata posizionata una croce a perenne protezione della vallata sottostante. Poco sotto la vetta vi è l'omonimo rifugio.
Il sentiero principale che conduce alla vetta parte dall'Alpe del Vicerè, risalendo le pendici del monte Broncino. Si tratta di un ampio e ripido sentiero che nel tratto iniziale è interamente all'interno del bosco, mentre nell'ultima parte, attraversa i prati presenti sulla sommità del monte. La vetta è raggiungibile in circa 60 minuti. Possibili varianti sono il sentiero che sale in vetta dalla Capanna Mara o il sentiero che sale dalla Capanna San Pietro (per chi proviene da Brunate, seguendo la Dorsale del Triangolo Lariano).

La diga di Leana è una diga ad arco-gravità in calcestruzzo costruita tra l'ottobre 1967 e il luglio 1968 nel territorio del comune di Albavilla lungo il corso del torrente Cosia.
In realtà ad inizio 1900 esisteva già uno sbarramento eseguito a scopo di accumulo acqua e approvvigionamento idrico del comune, ma negli anni sessanta, viene prevista la demolizione e ricostruzione con un nuovo sbarramento in calcestruzzo.
I lavori di costruzione del nuovo sbarramento in località Leana, lungo il corso del torrente Cosia, prendono il via nell'ottobre del 1967, vengono interrotti nella stagione invernale da fine novembre a marzo 1968, e vengono ultimati nel luglio 1968.
Lo sbarramento in calcestruzzo è di tipo ad arco-gravità, presenta un'altezza massima di 5m e crea un invaso artificiale di profondità massima 4m, per un'estensione di 850 m², con capacità del bacino di 1500m³.
Dall'invaso una condotta di adduzione porta l'acqua al comune di Albavilla.

Il lago di Alserio è caratterizzato dalla presenza di specie vegetali e animali tipiche delle zone umide: per quanto riguarda la flora, si segnalano ninfee, piante acquatiche e canneti, mentre le sponde sono caratterizzate da prati e boschi cedui. Per quanto riguarda la fauna, esistono numerose specie di anfibi e rettili, quali la rana, il rospo, le bisce d'acqua. Sulle rive sono presenti una notevole varietà di uccelli: svasso maggiore, germano reale, la gallinella d'acqua, e l'airone cinerino.

I boschi che circondano l'abitato, sono composti prevalentemente da alberi cedui come castagno, rovere, faggio, betulla, frassino, acero ma in alcune zone (Alpe del Vicerè), per opere di rimboschimento sono stati piantumati anche abeti, pini e larici.
Numerose specie di piante erbacee e di flora protetta, tipica di tutta la zona del Triangolo Lariano, tra i quali si ricordano: narciso, primula, giaggiolo, giglio, rosa gallica, campanula barbata, ciclamino delle Alpi, bucaneve, pungitopo.
Per quanto riguarda il narciso, in tempi non tanto lontani venivano organizzate delle vere e proprie raccolte (narcisate): al giorno d'oggi la raccolta è vietata, trattandosi di flora protetta.
Nel sottobosco, anche per chi non è un "Fungiatt" (in dialetto locale), o esperto cercatore di funghi, è possibile trovare funghi quali porcini o mazze di tamburo
Nei boschi, la fauna in cui a volte è possibile imbattersi, è rappresentata da lepri, piccoli roditori, scoiattoli, caprioli, cinghiali. Nelle zone più impervie anche rapaci, quali la poiana e il falco.
Per gli appassionati di trekking o di mountain bike, nei boschi sono disponibili dei percorsi di varie difficoltà, sia a partire dall'abitato e sia dalla zona dell'Alpe del Vicerè.

Il palazzo comunale è tornato nell'edificio di piazza Roma dal maggio 2010: dagli anni novanta infatti, la sede del municipio si trovava nella villa Giamminola, una villa acquisita dal comune negli anni settanta.
Per le celebrazioni dei 150 anni dell'Unità d'Italia, l'illuminazione notturna disegna un tricolore sulla facciata.
La Chiesa di San Vittore Martire è la chiesa principale dell'abitato.
Riguardo alla fondazione della Parrocchia di San Vittore Martire di Villalbese, non si hanno notizie certe, dato che i registri incominciano dalla seconda metà del XVI secolo: una cappella dedicata a "San Vittore Martire" esisteva da tempo, come dimostra uno scritto del 1398.
Parte di questa cappella era quella chiamata "Chiesa Vecchia", che fino all'inizio del Novecento esisteva perpendicolarmente dietro la "Chiesa Nuova" costruita nella prima metà del XVIII secolo; con l'ampliamento di quest'ultima, l'antica struttura è stata demolita nel 1914.
In seguito all'aumento della popolazione nel 1912-1913, si decide per l'ampliamento della struttura utilizzando le aree occupate dall'abside, dal campanile e dalle sacrestie della chiesa precedente "Chiesa Vecchia" e dal giardino e parte della casa parrocchiale che viene restaurata.
I lavori prendono il via nel 1914 e nel gennaio 1916 iniziano le celebrazioni delle prime funzioni religiose.
Nella struttura predomina lo stile rinascimentale: l'iconografia è a forma di croce, con i bracci laterali che terminano in absidi semicircolari, minori di quelli della navata longitudinale.
La cupola è di pianta poligonale e si appoggia su otto lesene. Nella seconda metà del XVI secolo, la chiesa aveva il campanile innestato in un fianco della facciata. Nel 1727 con la costruzione della nuova parrocchiale viene costruito anche il campanile della "Chiesa Nuova", situato sul lato opposto a quello della torre attuale. Nel 1917, ad ampliamento avvenuto, il nuovo campanile torna ad occupare la posizione a lato monte. il campanile ospita 8 campane ambrosiane in Sib2 della Barigozzi di Milano fuse nel 1950.

La Chiesetta di Santa Maria di Loreto risale all'epoca medioevale, ed è situata in posizione panoramica nella frazione di Molena.
Le sue origini risalgono al XII secolo come testimonia l'abside. Confrontando la vecchia iconografia con quella attuale, si nota una sostanziale diversità: doppia navata con due absidi affiancate nella parte terminale ed il campanile innestato al centro della facciata.
Il riadattamento dell'edificio così com'è oggi, si completa nella prima metà del XVII secolo. Nei secoli si sono susseguiti lunghi periodi di abbandono, fino a quando negli anni ottanta vengono completati i lavori di restauro.

La Chiesetta dei Santi Cosma e Damiano è situata nella frazione di Corogna, e risale alla fine del XIV secolo: presenta un'unica navata con abside semicircolare, con affiancato il suggestivo campanile medioevale.
Gli interventi di restauro risalgono al 1977 e al 1983 e hanno restituito alle facciate la veste originaria, con pietre squadrate a vista, in cui sono state scoperte due antiche finestrelle absidali, che erano state otturate.

I crotti sono delle costruzioni rurali "a volta", dal cui fondo in roccia fuoriescono getti di aria fresca, che mantengono la temperatura durante l'anno costante a 12 °C - 14 °C.
Le montagne di Albavilla sono un rilievo calcareo, con presenza di cavità e cunicoli originatisi in seguito al fenomeno del carsismo: in questi cunicoli circolano sia acqua che aria, ma nella maggior parte dei crotti è solo l'aria fresca a fuoriuscire, ad eccezione del crotto Italia dove fuoriesce anche acqua che viene raccolta in una vasca.

Situato nel centro storico del paese, la Foce (“Fous” in dialetto locale), è un antico lavatoio utilizzato in tempi passati per il lavaggio del bucato.
Un antico proverbio albavillese recita: “" Quand al vegn la Fous d'està, la stagion la va a maa. ", ad indicare che la stagione non era propizia se scorreva l'acqua nel periodo estivo.

La festa dei Crotti viene organizzata il primo e secondo weekend di ottobre, lungo le vie del paese un percorso passa per i vari crotti: visita dei crotti di Albavilla con possibilità di degustazione di prodotti tipici. All'evento si affiancano iniziative che variano di anno in anno: esposizione di attrezzi agricoli e dimostrazione delle attività agricole di un tempo, esposizione quadri, pizzi e merletti, vendita di prodotti tipici, servizio ristorazione.

Il Trofeo Jack Canali è una corsa podistica che si tiene ogni anno nel mese di maggio, con partenza dal centro del paese a quota 430 m s.l.m. e arrivo in vetta al monte Bollettone a 1320 m s.l.m.: 6,7 km su sentieri e mulattiere di montagna per un dislivello di 890 m.

“Camminata non competitiva sui sentieri del monte Bollettone”, che si tiene ogni anno nel mese di settembre: un anello di circa 12 km che dall'Alpe del Vicerè gira intorno al monte Bollettone: la prima parte del percorso porta alla baita Patrizi e alla bocchetta di Lemna, quindi sentiero dei faggi, e arrivo alla capanna Mara, con discesa fino al punto di partenza.

La Giubiana è una festa tradizionale della Lombardia, sentita specialmente in Brianza, nell'Altomilanese, nel varesotto e nel comasco che consiste nel mettere al rogo un fantoccio vestito di stracci; il rituale rappresenta simbolicamente la fine della cattiva stagione.

In paese sono presenti impianti sportivi sia pubblici e privati: si contano la palestra comunale e due palestre private, campetti da calcetto e da tennis, campo da calcio dell'oratorio e piscine all'aperto in struttura privata.
I numerosi sentieri presenti che si snodano a partire dal centro dell'abitato, permettono di praticare trekking e mountain bike, e nei mesi invernali, neve permettendo, ciaspolate, immersi nella natura del Triangolo Lariano.



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