Il Santuario della beata Vergine Addolorata di Rho è uno degli edifici di culto più grandi e più preziosi della Lombardia. Prende origine da un fatto prodigioso avvenuto il 24 aprile 1583: sul volto della Vergine dipinta in un affresco della Pietà, in una piccola cappella di campagna all’incrocio tra la strada per Gallarate e quella per Saronno, scorrevano lacrime di sangue.
San Carlo Borromeo, arcivescovo di Milano, confermò il miracolo e commissionò il progetto di un grande tempio mariano all’architetto Pellegrino Tibaldi.
Alla costruzione, durata due secoli, parteciparono sia i contadini di Rho con il loro lavoro, sia le famiglie nobili della zona (i Visconti, i Simonetta, i Crivelli) che commissionarono opere d’arte nelle loro cappelle di famiglia, contraddistinte dai rispettivi stemmi araldici.
A custodia del Santuario furono posti i Padri Oblati dell’Addolorata, con il compito di tener viva la fede con la predicazione e la dottrina cattolica. Padre Giorgio Maria Martinelli (1655-1727), il cui sepolcro è venerato all’altare del sacro Cuore, ne fu il Fondatore.
Ancora oggi il Santuario di Rho è punto di riferimento per gli Arcivescovi, il clero e i fedeli della diocesi di Milano e ospita numerosi pellegrinaggi.
Il miracoloso pianto di sangue, avvenuto il 24 aprile 1583, giorno dedicato a S. Giorgio, commosse tutta la Diocesi. Quelli erano tempi assai tristi: si susseguivano le guerre, le carestie e le pestilenze. Perciò la Gran Madre di Dio anche per portare aiuto ai suoi fedeli, apparve in diversi luoghi operando miracoli in favore degli infelici. Era di domenica ed alcuni fedeli erano soliti radunarsi nella chiesetta per l'officio della B.V. Terminata la funzione, prima di recarsi a cantare il Vespero in chiesa parrocchiale, un certo Girolamo de Ferri con tre amici, andò di nuovo all'Oratorio a fare un po' di orazione. Difatti dopo alcune preghiere, i tre uomini se ne andarono e rimase solo il Ferri; questi, mentre devotamente pregava la Madonna, osservò che il volto della Sacra Immagine era pallido più del solito, pensò che forse qualche pittore l'avesse recentemente ritoccato e ne uscì senza più pensarci. Mentre ritornava in paese si incontrò con l'amico Alessandro de Ghioldi, detto il Marchettino, che si portava alla chiesetta, dal quale fu invitato a ritornare assieme all'Oratorio della Madonna e,mentre ambedue erano inginocchiati a pregare, il Ghioldi rivolgendosi a Gerolamo " vedi là, gli disse, com'è sporco quell'occhio? non era così quando abbiamo cantato il Vespro? " e Girolamo rispose " nè men era così poco fa quando io mi son trattenuto ad orare ". E così discorrendo fra loro, lontano dal sospettare dell'avvenuto miracolo, anzi credendo si trattasse di qualche innocente oltraggio, schizzato di recente su quell'Immagine dalle rondinelle che solevano in quel luogo svolazzare, il Ghioldi si recò a casa di un certo Maffeo a prendere la chiave per aprire il cancelletto che chiudeva la Cappelletta, e togliere quella sozzura dal volto della Madonna prima che si essicasse. Il custode non si trovò in casa e la chiave la ottenne dalla mamma del Maffeo, certa Caterina Candiani detta la Faina, la quale poi si recò anch'essa all'Oratorio.
Aperti i cancelli, entrò per primo Girolamo Ferri e salì sull'altare per togliere dal sacro volto quella creduta lordura, e, per non imbrattare il suo fazzoletto, disse all'amico di procurargli qualche pezzuola usata. Questi, veduto in terra uno straccio di pannolino, lo raccolse e glielo porse. Senonchè mentre il Ferri credeva di pulire l'occhio della Madonna, vide impresse nel pannolino tre macchie di sangue vivo e notò l'occhio della Madonna tutto rosseggiante, vedendo inoltre scendere dall'occhio della Vergine altre due lagrime di sangue, che scesero fino alle labbra, ed una terza le seguiva fermandosi sotto il mento. Non pensando minimamente al grande prodigio cui avevano assistito, buttarono via il pannolino. Nel frattempo la suddetta Faina era arrivata alla Cappelletta e, sentendo ciò che era successo, disse che si ricordava che la Madonna aveva fatto altri miracoli.
Il Ferri e il Ghioldi emozionati e scossi, si portarono ad avvertire il Prevosto Traiano Spandrio, che si recò sul posto con il prete Viviani Prati e con Giovanni Giolti notaio Apostolico. Il Viviani salì sull'altare e toccò l'occhio della Vergine, ancora umido di sangue, in modo da bagnarsi il dito. Le pareti avevano tracce di umidità, ma il pannolino esaminato recava evidenti macchie di sangue. Il Prevosto, con molta prudenza e con molta fede, esortò il popolo a venerare l'Immagine, ma usò tutta la sua avvedutezza nell'ammettere il miracolo, ed avvertì subito l'Ordinario di Milano. L'Arcivescovo volle innanzitutto far svolgere con estremo rigore le indagini per accertarsi dei fatti: poi, nel mese di maggio del 1583, inviò a Rho il Dr. Griffido Noberti, Canonico Ordinario della Metropolitana ed il Barnabita Carlo Bascapè, insieme al notaio Bolino.
L'inchiesta sul miracolo durò quasi un mese, e durante tale periodo si verificarono molti altri prodigi. Si discusse con i testimoni oculari del fatto, si raccolsero dichiarazioni e deposizioni sulle grazie straordinarie che anche in passato la Madonna aveva largamente elargito. Le testimonianze sui " Miracoli dell'Addolorata " formarono un cospicuo volume, conservato oggi presso l'Archivio Arcivescovile di Milano. San Carlo, appena ebbe il rapporto, lo esaminò molto attentamente in tutti i suoi particolari e promosse ulteriori indagini, ma al termine esclamò: " Qui c'è il dito di Dio ". " Era la Vergine che piangeva per amor nostro-scrive Padre Borgonovo. La Corredentrice piangeva sui peccatori e cogli afflitti, col pianto inteneriva il Cuor di Gesù, commoveva a penitenza, eccitava a speranza.
Se Gesù per il sacrificio è Sommo Sacerdote, Maria pel pianto continua il Sacerdozio di Gesù. E se Gesù morto diè prova suprema d'amore con l'effusione dell'ultimo suo sangue, Maria ne dà segno e prova d'amore effondendo vivo sangue dalla sua immagine ". Fu in tal senso che S. Carlo definì il pianto di sangue della nostra Madonna Addolorata e tale ancora si considera.
L'affresco "miracoloso" ci richiama il "Gesiolo" (Gesio nel dialetto rhodense), la cripta che sta sotto l'abside del Santuario, il luogo in cui avvenne la lacrimazione. E ci richiama anche la pezzuola (panèt nel dialetto locale) che ha raccolto le lacrime di sangue dell'Addolorata, attualmente conservata in Sacristia dentro un artistico reliquiario d'argento.
Sul luogo dove oggi si trova il santuario nel 1522 venne eretta una piccola cappella dedicata alla Madonna della Neve, in segno di ringraziamento per una grazia ricevuta da un aristocratico dell'epoca. Sul piccolo altare venne posto un quadro, il cui autore ci è oggi sconosciuto, raffigurante una Pietà.
Dopo un'indagine sull'accaduto, l'arcivescovo, il futuro San Carlo Borromeo, ordinò all'architetto Pellegrino Tibaldi la progettazione di un santuario per il culto mariano allo scopo di commemorare il miracolo. La posa della prima pietra avvenne solo un anno dopo, il 6 marzo 1584, e il nuovo luogo di culto avvolse la piccola cappella, che pure oggi è ancora accessibile dall'esterno.
Nell'ottobre di quell'anno San Carlo tornò nuovamente a Rho, ospite dei conti Simonetta, e prese alcune decisioni riguardo al Santuario in costruzione: metà delle elemosine sarebbero andate ai sacerdoti del Collegio dei Padri Oblati, ai quali venne conferito il compito di supervisionare la costruzione della struttura e la loro futura gestione. Non molti giorni dopo San Carlo morì e gli succedette Gaspare Visconti, che con un decreto confermò la volontà dell'illustre predecessore. La parrocchia di Rho non accettava questa soluzione, desiderando il controllo della situazione, ma a favore degli Oblati si schierò anche il papa Gregorio XIV.
Nel 1586 il santuario, sebbene ancora in lavorazione, venne già aperto al culto dal cardinale Visconti e Federico Borromeo: l'affresco della Pietà fu posto sull'altare maggiore, dove si trova tuttora. Da quel momento in poi però l'edificazione del luogo di culto fu lenta e richiese in tutto circa tre secoli. Nel 1694 vennero poste le fondamenta per il peristilio che avrebbe dovuto abbellire il santuario secondo il progetto del Tebaldi. Il 4 aprile 1721 fu ufficialmente costituito il Collegio dei Padri Oblati, per la cui edificazione viene prescelto il terreno accanto al Santuario, impedendo di fatto la realizzazione del peristilio.
Frattanto agli inizi del XVII secolo era iniziata la decorazione delle cappelle laterali, grazie alle donazioni delle più munifiche famiglie locali: fra queste i Simonetta, i Crivelli, i Visconti ed i Turri, tutti ricordati da stemmi araldici e sepolture nei pressi degli altari.
Nel 1751 sorsero problemi per un'altra intuizione del Tibaldi: la cupola venne considerata troppo costosa dal rettore del collegio, padre De Rocchi, perciò l'architetto Giuseppe Merlo fu incaricato di rivedere il progetto. Le quattro colonne del progetto originale furono sostituite con quattro archi appoggiati su otto pilastri, riducendo gli ornamenti esterni della cupola e del lucernario. I fondi andarono comunque esauriti e i lavori poterono ricominciare solo dopo qualche anno, quando venne completata la cupola, alta 54 metri con un diametro di 18.
Il 4 aprile 1755 la chiesa fu consacrata in una cerimonia dal cardinale Giuseppe Pozzobonelli, che la intitolò alla Regina dei Martiri. Lo stesso cardinale diede una forte spinta alla conclusione dei lavori di edificazione del santuario, sia per quanto riguarda la cupola, di cui si è detto sopra, sia per quanto riguarda la torre campanaria, progettata da Giulio Galliori, costruita nella seconda metà del XVIII secolo ed alta 75 metri. Al termine dell'era napoleonica, anche la facciata venne ridisegnata, lavoro compiuto dal neoclassico Leopold Pollack.
Nel 1876 vennero finalmente avviati del collegio (in attesa da un secolo e mezzo), ultimato nel 1911. La costruzione del santuario invece risultò compiuta nel 1888 quando venne montato l'ultimo insieme di campane. Il santuario fu inaugurato ufficialmente e solennemente dal cardinale Andrea Carlo Ferrari nel settembre 1895; nel 1923 Papa Pio XI lo promosse al grado di Basilica romana minore.
Alla fine del XX secolo durante un'opera di restauro l'altare fu ricostruito per opera dello scultore Floriano Bodini. Nella serie di lavori a seguire venne rinnovato l'impianto elettrico (2003), restaurate le cappelle di San Giuseppe (nel 2004), San Carlo (2007) e San Giorgio (2010).
La cappella originale (al posto dell'affresco miracoloso vi è una copia) è stata inglobata alla base dell'abside, sotto il coro, ed è tuttora accessibile dal lato di corso Europa, all'incrocio con via Lainate.
L’interno del Santuario costituisce una ricca panoramica dell’arte lombarda tra tardo Manierismo sino alle porte del Novecento.
Meritano una visita specifica la cappella di San Giuseppe, decorata da Camillo Procaccini e aiuti entro il 1603, con la splendida pala d’altare del Riposo nella fuga in Egitto; la cappella di San Giorgio, con il pregevole ciclo di affreschi del Morazzone (1614-1615), i notevoli stucchi e la pala d’altare raffigurante San Giorgio e il drago dipinta da Giovanni Ambrogio Figino verso il 1606; la sontuosa cappella di San Carlo, tra i più riusciti episodi di stile barocco in Lombardia, decorata da Andrea Lanzani nel 1684.
Numerose tele del XVII secolo sono distribuite tra la Sagrestia, Penitenzieria e cappelle laterali, tra cui un Martirio di Santa Caterina di Camillo Procaccini, la pala d’altare della cappella di San Giovanni Battista attribuita a Giovanni Mauro della Rovere detto il Fiammenghino, e la bella pala d’altare di Sant’Anna dipinta da Carlo Vimercati nel 1714.
Grandiosi cicli ad affresco ottocenteschi furono eseguiti in navata da Giuseppe Carsana (1868-1889), pittore bergamasco proveniente dall’Accademia Carrara, e dal torinese Luigi Morgari (1890-1895) coadiuvato con raffinatissime decorazioni e quadrature di Achille e Angelo Secchi.
Notevoli gruppi scultorei ottocenteschi decorano gli interni, tra cui i due grandiosi modelli in gesso dello scultore Pompeo Marchesi "La Religione" e "San Carlo comunica San Luigi Gonzaga" giunti direttamente dallo studio milanese dello scultore nel 1868. Altri bei gruppi in stucco coronano le neoclassiche cappelle laterali, tra i quali spicca per qualità esecutiva quello di Grazioso Rusca sul coronamento della cappella di Sant’Ambrogio eseguito verso il 1806.
Tra i dipinti ottocenteschi opere di Giuseppe Sogni, Raffaele Casnedi e Roberto Galperti da Verolanuova.
Una visita non deve mancare nel periodo natalizio, occasione per vedere lo spettacolare Presepio in sagome dipinte di Giuseppe Carsana (seconda metà del XIX sec.), costituito da venti sagome in carta a grandezza naturale, studiato per il doppio allestimento natalizio e dell’Epifania.
Meritevole di particolare attenzione il monumentale altare maggiore, di origine secentesca ma ampliato alla fine dell’ottocento su progetto dell’architetto Gaetano Moretti, con sculture in marmo di Carrara di Antonio Carminati, e bronzi di Eugenio Bellosio e Giovanni Lomazzi. Nel retro dell’altare una bella pala della metà del Seicento dipinta da Cristoforo Storer raffigura San Carlo che posa la prima pietra del Santuario di Rho.
L’altare post conciliare è stato consacrato dal Cardinal Carlo Maria Martini il 24 aprile 1998, ed è stato eseguito in marmo di Candoglia su modelli dello scultore Floriano Bodini.
Notevoli opere di ebanisteria e scultura lignea, specialmente settecenteschi, decorano l’interno della basilica, tra i quali spicca sopra l’arco del presbiterio il grande Crocefisso con due angeli intagliato da Giuseppe Antignati nel 1765, l’elegante coro il noce del 1747 di Antonio Maria Pozzi, e i notevoli pulpiti e casse d’organo in legno dorato eseguiti da Benedetto Cazzaniga nella seconda metà del Settecento.
In Sagrestia e Penitenzieria grandiosi armadi e arredi dei secoli XVII-XIX.
L’impostazione architettonica fu già definita nell’originario progetto del’architetto di San Carlo, Pellegrino Tibaldi, che pensò ad una grandiosa basilica a croce latina, con una vasta navata adatta a contenere enormi flussi di pellegrini.
La lunghezza della navata maggiore è pari a metri 74, il braccio del transetto maggiore pari a metri 43, la cupola raggiunge l’altezza di metri 54 mentre il campanile è alto metri 75. Ai fianchi della navata si aprono otto cappelle laterali, quattro per lato.
Lo schema planimetrico pellegrinesco fu sostanzialmente rispettato durante il complesso cantiere di costruzione della chiesa, iniziato nel 1584 e proseguito nel corso del primo quarto del Seicento con interventi di Martino Bassi, Dionigi Campazzo, Aurelio Trezzi e forse Fabio Mangone. La maggiore rinuncia al progetto originario coincide con la mancata realizzazione del vasto quadriportico che doveva procedere la facciata, abbandonato a causa della costruzione del collegio affacciato sul piazzale del Santuario.
Notevole per ampiezza e architettura la luminosa cupola, eseguita tra il 1752 e il 1764 su progetto di Carlo Giuseppe Merlo, non senza complesse valutazioni statiche, caratterizzata da lesene binate di ordine corinzio e otto ampi finestroni. Certamente uno dei più impegnativi cantieri del panorama architettonico milanese nel XVIII secolo.
Altrettanto considerevole la facciata, disegnata da Leopold Pollack, ispirata a schemi cinquecenteschi, e selezionata tra gli altri progetti di Carlo Benedetto Merlo e Luigi Cagnola, decorata dai bei bassorilievi neoclassici di Grazioso Rusca.
Al centro del piazzale il monumento in bronzo a San Carlo Borromeo, eseguito nel 1883-1884 dallo scultore Francesco Barzaghi ad opera della Fonderia Barigozzi.
Accanto al Santuario c'è una Casa di spiritualità, in cui si tengono incontri, ritiri ed esercizi spirituali, specialmente per il clero. È la Casa degli Oblati Missionari che, oltre al servizio religioso in Santuario, si dedicano alla predicazione delle missioni popolari e degli esercizi spirituali. Il loro fondatore è un prete ambrosiano del Settecento; il Venerabile P. GIORGIO MARIA MARTINELLI, sepolto in Santuario nella cappella del Sacro Cuore. Nacque a Brusimpiano (Va) il 9 maggio 1655. Venne a Rho nel 1715 per dare inizio alla sua opera, e il 4 aprile 1721 fondò la comunità degli Oblati Missionari di Rho: potremmo dire i "missionari dell'Addolorata". Morì la sera del 2 novembre 1727 in concetto di santità. Il 7 luglio 1977 Papa Paolo VI ne proclamava l'eroicità delle virtù e lo dichiarava "Venerabile".
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