La chiesa di San Bernardino costituisce in Abbiategrasso un esempio notevole del barocco lombardo del XVII secolo, dopo le ristrutturazioni appostate da Francesco Maria Richini.
La chiesa venne originariamente eretta nel XV secolo in onore di San Bernardino che la tradizione vuole essere stato accolto in città nel 1431. Col tempo si sentì la necessità di realizzare una chiesa più grande che potesse accogliere un numero sempre maggiore di fedeli, la cui prima pietra venne posta il 30 agosto 1614. I lavori si protrassero in vari stadi: nel 1686 venne progettato e realizzato il coro, mentre il campanile venne eretto solo nel 1717.
Nel 1567 il padre gesuita Leonetto Clavonio, visitando le chiese del borgo, annotò la presenza nella contrada della chiesa di un oratorio della Confraternita di S.Bernardino, già dei Disciplini, ed accanto una piccola chiesa con l’altare dedicato allo stesso santo. I due edifici erano stati edificati dopo la diffusione del culto al santo, passato da Abbiategrasso nel 1431 e diretto al convento francescano di Vigevano.
Nel 1578 venne fondata la Scuola del SS. Rosario che scelse come luogo di incontro la stessa chiesa e che volle far dipingere per l’altare un’ancona raffigurante la Vergine col Bambino e, genuflessi, i SS. Domenico e Bernardino. L’opera, ora perduta, fu eseguita nel 1589 e benedetta nel 1592.
La compresenza di due confraternite portò alla necessità di costruire una chiesa più ampia, così nel 1604 gli stessi scolari chiesero ed ottennero il permesso di edificarla dal card. Federico Borromeo giunto in visita pastorale.
In un primo tempo il progetto della chiesa fu richiesto a Mons.Mazenta, sovrintendente alle nuove costruzioni ecclesiastiche, che egli fornì con “altri ingegneri”; ma in un secondo tempo la progettazione per una chiesa più amplia fu affidata a Francesco Maria Richino, l’architetto più importante del Barocco lombardo. Di questa progettazione ci è rimasta una citazione nei documenti d’archivio e l’originale del disegno della facciata. La posa della prima pietra avvenne il 30 agosto 1614, ma poiché il progetto era molto al di sopra delle possibilità economiche delle confraternite, la costruzione fu realizzata a tappe e terminata con la facciata oltre un secolo dopo.
Inizialmente si privilegiò l’interno il cui altare maggiore venne benedetto nel 1631.
Nel 1647 fu commissionata agli intagliatori milanesi Gaspare Maulo e Enrico Mauro l’ancona per la cappella di S.Mauro; nel 1671 Cristoforo Ciceri s’impegnava ad eseguire l’ancona in quella di S.Antonio; in un documento del 1688 era menzionata l’esistenza di un organo.
Nel 1686 si pensò di costruire un ampio coro dietro l’altare maggiore, per le riunioni delle confraternite, su disegno dell’architetto abbiatense Federico Piestrasanta che fu di fatto realizzato dopo il 1691.
Nel 1698 venne traslata nell’altar maggiore la statua della “Beata Vergine del Rosario” benedetta nel 1592, fino ad allora venerata in un altare laterale.
Nel 1717 fu edificato il campanile con un concerto di tre campane.
Nel 1722 per il progetto della sacrestia, terminata nel 1731, venne chiamato ancora il Pietrasanta.
Dal 1715 al 1756 circa fu costruita la facciata mantenendo sostanzialmente il progetto del Richino che sembrava fosse andato perduto, ma che fu ritrovato nel 1691.
Nel 1779, durante le soppressioni giuseppine, la chiesa corse il rischio di essere trasformata in “scuola normale” e si salvò solo perché venne riconosciuta come sussidiaria della vicina parrocchiale.
Nel 1820 S.Bernardino fu completamente restaurata grazie al concorso della popolazione che dimostrò così la propria affezione alla chiesa: decine di muratori lavorarono gratuitamente una domenica dopo l’altra per diversi mesi; chi offrì cibo, chi donò materiale edilizio, chi denaro, chi mezzi di trasporto. La decorazione interna venne totalmente rifatta dal pittore abbiatense Giovanni Francesco Marinoni; la decorazione in stucco del nuovo altar maggiore fu commissionata al milanese Diego Marieloni; il tabernacolo venne realizzato dal milanese Carlo Visconti e lo scultore Grazioso Rusca s’impegnò a scolpire la nuova statua della “Beata Vergine del Rosario” simile a quella presente in Duomo sull’altare della Madonna dell’Albero.
La chiesa conobbe anche gli orrori della guerra quando, nel 1859, venne trasformata in ospedale per il ricovero dei feriti reduci dalla battaglia di Magenta.
Da allora iniziò per l’edificio un lento degrado a cui si pose termine solo in anni recenti: come la vediamo oggi è il risultato del restauro promosso dal Lions International Abbiatense ed eseguito negli anni 1985-1988 anche col contributo di Enti pubblici e privati.
Il complesso è orientato in modo inconsueto secondo l’asse Nord-Sud per rispettare l’accesso obbligato da via Borsani ed è costituito da elementi realizzati in tempi diversi e, quindi, ben distinti ed individuabili: la facciata ricca ed elaborata, il campanile di gusto barocchetto, la navata severa ed essenziale con le strette cappelle, la nuova sacrestia, lo sproporzionato coro rettangolare.
La slanciata facciata, realizzata nella prima metà del ‘700 e quindi molti anni dopo la progettazione del Richino avvenuta probabilmente tra gli anni trenta e quaranta del Seicento, mantiene sostanzialmente le caratteristiche originarie. E’ in granito, salvo le specchiature tra le lesene, intonacate. Presenta due ordini di lesene, con capitelli ionici nel primo e corinzi nel secondo, che sostengono il timpano triangolare con cartiglio e soprastanti anfore e sul colmo la statua della Madonna.
Il portale, contornato da lesene a capitelli corinzi, termina con un elegante timpano curvilineo.
Ai lati, nel primo ordine, vi sono due nicchie contenenti le statue di S.Francesco e di S.Bernardino e due cartelle decorate con figure di vescovi. Nel secondo ordine, la bella finestra settecentesca è arricchita da movimentata cornice e festoni. Ai fianchi sono presenti le caratteristiche volute a riccioloni.
Il campanile, nato come elemento a sé stante nel 1717, si inquadra bene nell’insieme. Si tratta di una slanciata torre, ritmata da marcapiani modanati che racchiudono riquadri con cornici mistilinee. Le finestrine aumentano di altezza ad ogni piano, la cella campanaria, delimitata da parapetto a balaustra con colonnine, termina con una cuspide barocca a bulbo di rame su basamento ottogonale in muratura.
L’interno è caratterizzato da navata unica coperta a volte su quattro campate: quelle di testa sono più strette ed a botte, quelle centrali sono più ampie ed a vela per permettere l’apertura delle finestre. Le massicce lesene hanno capitelli ionici e portano una ricca trabeazione.
Nell’aula si aprono otto cappelle rettangolari e poco profonde, coperte a botte.
La zona dell’altar maggiore, coperta con volta a botte leggermente più bassa di quella della navata, è divisa dal coro da un arco a sesto ribassato.
Entrando, nella seconda nicchia a sinistra troviamo la cappella di Sant’Antonio in cui vi è un altare della fine del ‘600 in stucco dipinto con mensa rettangolare sormontata da ancona dipinta di bianco, fiancheggiata da colonne tortili corinzie rette lateralmente da due angeli e riccamente decorata nel timpano curvilineo.
La statua del Santo, di legno scolpito stuccato e dipinto, è opera devozionale del sec.XVIII probabilmente dovuta ad un artigiano locale.
Segue la cappella di San Pietro martire il cui altare di marmo, realizzato nella seconda metà del ‘700, presenta una linea imponente e severa: su base rettangolare con paliotto in marmo grigio e giallo, si imposta l’ancona fiancheggiata da colonne libere in marmo nero con capitelli compositi e conclusa da un timpano spezzato, decorato al centro da un fastigio mistilineo in marmi misti.
Nell’ancona vi è una nicchia contenente al centro la statua di S.Pietro martire, di legno scolpito stuccato e dipinto, descritta per la prima volta dal card.Pozzobonelli nel 1756, al lato destro quella di S.Lucia e al lato sinistro della di S.Apollonia già menzionate dal card.Archinto nel 1703.
L’altar maggiore fu realizzato in stucco dal milanese Marieloni nel 1820 ed in esso venne inserita la bella statua della “Beata Vergine del Rosario” modellata nello stesso anno dal Rusca. Fanno da cornice i 15 misteri del Rosario. Le piccole tele, che secondo dati documentari potrebbero risalire alla fine del sec. XVI o agli inizi del successivo, sembrano essere state ridipinte totalmente o rifatte nel sec. XIX, forse in concomitanza con la costruzione del nuovo altare.
Sull’arco trionfale, inserito in una decorazione a stucco settecentesca raffigurante due angeli seduti tra volute e festoni, vi è un olio su tela di scuola lombarda del sec.XVII rappresentante S.Bernardino da Siena.
Il Crocifisso, di legno intagliato stuccato e dipinto, è opera devozionale ascrivibile all’artigianato lombardo del sec. XVII.
Dietro l’altare maggiore è ubicato l’ampio coro che occupa interamente le tre pareti dell’abside. Posto su una pedana liscia, è composto di 34 stalli e cattedra al centro decorati nello schienale da specchiature mistilinee. L’opera, citata dal card.Archinto nel 1703, fu realizzata da maestranze lombarde alla fine del ‘600. Nell’abside è visibile la tela raffigurante “l’Adorazione dei Pastori” di ignoto pittore lombardo dell’inizio de sec. XVIII.
Dalla parte destra del coro si accede alla sacrestia edificata tra il 1722 ed il 1731. Vi sono conservati un mobile di legno intagliato e radica del sec.XVIII; in una nicchia del muro, un busto in terracotta e di pelle dipinte raffigurante “San Carlo Borromeo” di ignoto scultore lombardo del sec.XVII; in una nicchia di un mobile, una statua della “Vergine addolorata” di terracotta dipinta di ignoto artigiano lombardo del sec. XVIII.
La terza cappella a destra è dedicata alla Madonna dei Sette Dolori.
L’altare in stucco dipinto ad imitazione del marmo, rosso e rosato, è formato da mensa a forma di parallelepipedo fiancheggiata da alti plinti su cui poggiano due colonne tortili in marmo nero con capitelli corinzi, sormontate da timpano in stucco con angioletti lavorati a tutto tondo. Esso può essere stato realizzato da stuccatori lombardi attivi nella seconda metà del sec. XVII. Ai suoi lati due statue in stucco raffigurano i profeti Isaia e Simeone.
Al centro del dossale è posta la pala della “Madonna dei Sette Dolori” che, per l’impostazione dell’impianto ancora cinquecentesco, può essere considerata un’opera di pittore lombardo attivo alla fine del sec. XVI, vicino ai modi di Camillo Procaccino. Essa è citata fin dal 1604 e successivamente ricordata nelle visite pastorali del 1703 e del 1756.
La seconda cappella a destra, detta di San Mauro, presenta un altare, posteriore al 1756, composto da mensa con fronte mistilinea e paliotto decorato da cartiglio di marmo grigio, giallo e rosso. Alla sommità vi è, su cornice di marmo nero, un fastiglio mistilineo con medaglione. Il tabernacolo è a tempietto.
Al centro del dossale la tela che rappresenta “San Mauro che risana gli ammalati” è un dipinto d’ignoto che porta su retro la data 1740.
La prima cappella a destra, detta del Crocifisso, contiene un Cristo in croce che, per l’intenso espressionismo e il modellato asciutto, è da considerarsi opera di artigianato lombardo della fine del sec. XVI o inizi del successivo. Solo un angelo reggente i simboli della Passione, dei quattro che l’adornavano, si è salvato dai furti. La statua è ascrivibile ad artigianato lombardo del sec. XVIII. Interessante, per la vicenda a cui è legata, è la lapide collocata davanti all’altare con l’iscrizione “1754 Sepolcro per li defonti giustiziati”. Infatti li vennero seppelliti dal 1754 al 1772 i condannati a morte, cioè coloro che venivano giustiziati per essersi macchiati di gravi delitti, per lo più briganti che in zona rapivano ed uccidevano. I Confratelli dei Disciplini ricevevano dal Podestà di Abbiategrasso una copia della sentenza e l’invito a compiere il pietoso ufficio. Da quel momento essi assistevano il condannato in cella, facevano celebrare messe per lui, lo persuadevano a confessarsi, gli portavano cibarie, infine ne raccoglievano il corpo straziato dandogli pietosa sepoltura in questo luogo.
Opera di pregio è l’organo che si trova sulla controfacciata: fu infatti costruito nel 1853 dai fratelli Prestinari, prestigiosa famiglia di organari magentini.
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