lunedì 16 marzo 2015

IL PARCO DI MONZA

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Il Parco di Monza è uno tra i maggiori parchi storici europei, il quarto recintato più grande d'Europa e il maggiore circondato da mura. Ha una superficie di 688 ettari ed è situato a nord della città, tra i comuni di Lesmo, Villasanta, Vedano al Lambro e Biassono. Con i Giardini Reali, il Parco di Monza costituisce un complesso di particolare valore paesaggistico, storico e architettonico, incluso nel più ampio Parco regionale della Valle del Lambro. Dal 1922 ospita al suo interno l'Autodromo Nazionale di Monza, uno dei più importanti e prestigiosi circuiti automobilistici al mondo.

Il parco fu voluto da Eugenio di Beauharnais, figliastro di Napoleone e viceré del Regno d'Italia, come complemento alla Villa Reale costruita alcuni decenni prima per volontà del governo austriaco. Venne costituito ufficialmente con decreto napoleonico il 14 settembre 1805 in estensione ai già esistenti Giardini Reali. Il progetto fu affidato all'architetto Luigi Canonica; i lavori iniziarono nel 1806 e terminarono nel 1808.

Il parco nacque fondamentalmente come una tenuta modello che conciliava il soggiorno suburbano del sovrano alla possibilità di disporre di una riserva di caccia personale. Sono diverse tuttavia le ipotesi sulla reale esigenza che portò alla sua realizzazione; secondo Francesco Rephisti, la fondazione del parco poteva essere vista come la predisposizione di una grande riserva territoriale a pochi chilometri da Milano, allora capitale del Regno d'Italia, pronta ad accogliere in caso di esigenza grossi contingenti militari. Ad avvalorare quest'ipotesi ci sarebbe stato il corposo allevamento reale di cavalli alla Villa Pelucca, a Sesto San Giovanni. Secondo Cinzia Cremonini, la villa e il parco rientravano invece in un più complesso disegno, volto ad esaltare la grandezza dell'Imperatore, del quale Eugenio di Beauharnais era l'erede.

Dal punto di vista territoriale, il parco si estendeva inizialmente fino alla Santa - al tempo frazione di Monza, oggi parte del comune di Villasanta - e a Vedano, includendo al suo interno le importanti proprietà dei Durini, a cui appartenevano Villa Mirabello e Villa Mirabellino. Già nel 1806 venne acquisita un'ulteriore fascia terrazzata di circa 5 km a nord-ovest di Monza, facente parte dei comuni di Monza, Vedano e Biassono. Il parco raggiungeva così l'estensione di circa 14.000 pertiche (all'incirca 9 km²) e comprendeva edifici preesistenti (ville, mulini e cascine), aree agricole e aree boschive.

A partire da questi anni il Canonica cominciò ad elaborare un ardito e complesso progetto, volto ad armonizzare le architetture presenti all'interno del parco col parco stesso, in un sistema quasi teatrale con cui conferissero bellezza e regalità alla tenuta. L'architetto lavorò personalmente a diversi progetti di realizzazione o trasformazione di vari edifici, compito che sarebbe stato in seguito sviluppato e portato a termine dal suo successore Giacomo Tazzini, qui attivo fra il 1818 e il 1848, in concomitanza con gli anni del soggiorno monzese dell'arciduca Ranieri Giuseppe d'Asburgo-Lorena.

L'arciduca Ranieri, nominato viceré del Regno Lombardo-Veneto nel 1818, entrò subito in possesso della Villa e delle relative pertinenze, cadute in un breve periodo di oblio dopo la fuoriuscita dei francesi nel maggio 1814. Coerentemente con quanto già accadeva a Vienna a quel tempo, aprì per la prima volta al pubblico i Giardini Reali e il Parco, iniziativa particolarmente significativa dal punto di vista simbolico, poiché voleva rappresentare il carattere democratico del nuovo governo austriaco, ben disposto nei confronti degli abitanti di Monza e di Milano. In quegli stessi anni si andavano affermando le idee, diffusesi anche in Italia nei primissimi anni del XIX secolo, dalla manualistica specializzata. Secondo Luigi Mabil le città dovevano sempre disporre - oltre alle piazze - di ulteriori e piacevoli luoghi di ritrovo e passeggio per la popolazione, ricavati - a seconda delle disponibilità - all'interno o all'esterno del perimetro cittadino. Dovevano offrire al cittadino la possibilità di respirare un'aria più salubre nonché immagini e momenti piacevoli, che lo distogliessero dagli affari personali. Coerentemente con tale pensiero, lo stesso Ercole Silva - che già aveva influenzato negli anni precedenti la sistemazione dei giardini - sosteneva l'importanza di questi spazi nella vita quotidiana delle persone, al pari di un vero e proprio bisogno. Queste aree, oltre a sollevare l'individuo dalle afflizioni personali, lo distoglievano dai divertimenti ignobili e pericolosi, educandolo a una maggiore sensibilità e una migliore socialità.

Il Parco e i Giardini Reali sarebbero stati aperti fino al 1º agosto 1857, quando si pensò alla soppressione della colonia agricola ivi insediata, in favore di un ridimensionamento del parco stesso, accompagnato da un maggiore sviluppo delle zone a prato e a bosco. Caduti gli austriaci il progetto non venne mai attuato, e con l'Unità d'Italia nel 1861 venne riaperto al pubblico dai nuovi proprietari, i sovrani della Casa Savoia.

I Savoia, succeduti agli Asburgo, mostrarono in un primo tempo una sostanziale indifferenza alle vicende del parco e della Villa Reale. Fu solo con l'ascesa al trono di Umberto I nel 1878 che si invertì questa tendenza, inaugurando un periodo di importanti lavori di ristrutturazione e abbellimento, concentrati quasi esclusivamente sulla Villa Reale, nella quale il sovrano amava soggiornare. Nel corso di questo periodo, i principali progetti di interventi inerenti al parco riguardarono le architetture ivi presenti, che sarebbero dovute essere a loro volta ristrutturate e ampliate. Tali progetti rimasero quasi esclusivamente sulla carta, poiché il 29 luglio 1900 Umberto I veniva assassinato nei pressi del parco mentre tornava alla villa, nell'attentato dell'anarchico Gaetano Bresci.

Tale evento condannò il parco e la Villa Reale ad un ventennio di abbandono, terminato in qualche modo con la restituzione delle proprietà al Demanio, avvenuta il 21 agosto 1919, e la successiva donazione delle stesse con Regio Decreto del 3 ottobre 1919 da Vittorio Emanuele III a vari beneficiari. Le aree a nord di viale Cavriga vennero cedute all'Opera Nazionale Combattenti, mentre quelle a sud - con la villa e i giardini - rimasero al Demanio; la Villa Mirabellino fu donata all'Opera Nazionale Orfani Infanti, mentre cinquanta ettari situati al di là del Lambro, insieme con l'attiguo Convento delle Grazie, vennero ceduti alla Scuola Superiore d'Agricoltura di Milano.

L'Opera Nazionale Combattenti, che giudicava la donazione un onere passivo, si attivò ben presto per trovare una nuova destinazione d'uso alle vaste aree che doveva gestire. Molteplici furono le proposte di speculazione emerse fin dall'inizio. Fra queste, una delle più significative fu quella del progetto Giacchi-Viganoni, del 1919, secondo la quale quelle aree si sarebbero trasformate in una moderna città giardino direttamente collegata con Milano (fu prevista anche la costruzione di una stazione ferroviaria all'interno del parco) e dotata di impianti sportivi e di svago all'avanguardia. All'incirca 200 ettari di terreno sarebbero stati destinati alla città giardino principale, circondata da una fascia di verde residua di circa 270 ettari (comprendenti tuttavia anche gli impianti sportivi e di svago) che la separava dal secondo agglomerato abitativo di circa 50 ettari. Un'ottantina di ettari rimanenti sarebbero invece stati occupati dai servizi.

Tramontata l'ipotesi del progetto, nel 1920 l'Opera Nazionale Combattenti strinse un accordo con il Consorzio costituito dai comuni di Monza e di Milano, insieme con la Società Umanitaria. Tale consorzio, che perseguiva logiche volte al massimo sfruttamento del parco da un punto di vista economico, diede a sua volta in concessione alcune aree a soggetti che ne avrebbero sconvolto l'originale configurazione. Nel 1922 venne concessa alla SIAS (Società per l'Incremento dell'Automobilismo e Sport) un'area di 370 ettari nella parte nord-occidentale del parco sulla quale, anche grazie alle spinte ricevute dal senatore Silvio Benigno Crespi, presidente della Banca Commerciale Italiana e dell'Automobile Club d'Italia, fu realizzato nel tempo record di 110 giorni l'Autodromo di Monza, terzo circuito automobilistico permanente al mondo in ordine cronologico. Il progetto, affidato all'architetto Alfredo Rosselli e all'ingegnere Piero Puricelli, prevedeva inizialmente un circuito di 14 km, a doppio anello, che sarebbe arrivato a lambire viale Cavriga, ma fu bocciato dal Ministero della Pubblica Istruzione e dalla Commissione per la Conservazione dei Monumenti di Antichità e di Arte della Provincia di Milano, in quanto giudicato eccessivamente invasivo e lesivo dell'integrità del parco.

Il progetto realizzato, relativamente più contenuto, si fonda sulla compenetrazione di due circuiti separati - una pista stradale da 5.500 metri e l'anello d'alta velocità da 4.500 metri - che condividono il rettilineo d'arrivo. Tale soluzione, per quanto non annullasse l'estremo impatto che ebbe l'opera sul parco, consentì quantomeno di ridurre la superficie occupata ed il numero degli alberi da abbattere, al tempo concentrati quasi esclusivamente nell'area del Bosco Bello, avendo il parco un carattere ancora prettamente agricolo. Il circuito si impose come uno dei più celebri e prestigiosi a livello mondiale, costituendo anche il principale motivo di notorietà della città di Monza nel mondo.

Sempre nel 1922, anche la SIRE (Società per l’Incoraggiamento delle Razze Equine) ottenne una concessione di circa 100 ettari per la costruzione dell'Ippodromo del Mirabello, completato nel 1924. Sorse in un'area più centrale del parco, posta fra la Villa Mirabello - da cui prese il nome - e la Villa Mirabellino. La realizzazione dell'ippodromo fu meno osteggiata di quella dell'autodromo, giudicato già al tempo di eccessivo impatto ambientale e incompatibile con la natura del parco in cui si trovava. Anche le strutture architettoniche dell'ippodromo, progettate insieme alle due piste dal Vietti-Violi, risultavano molto più armoniose e leggere, essendo realizzate - secondo la moda del tempo - in stile liberty e in legno.

Nel 1928 fu realizzato il campo da golf, in un'area di 90 ettari nella zona nord-orientale del parco, a fianco all'autodromo. Il primo progetto, affidato all'architetto inglese Peter Gannon e all'ex maggiore dell'esercito Cecil Blandford - considerati al tempo fra i migliori golf designer - consisteva in un campo di sole nove buche, che fu ben presto trasformato in un campo a diciotto buche. L'architetto Piero Portaluppi realizzò la club house, per la quale adattò la vecchia Fagianaia Reale.

Nel 1934, la Villa Reale, i Giardini e parte del parco vennero ceduti gratuitamente e in via definitiva ai comuni di Milano e di Monza, che nel 1937 acquistarono anche le aree poste a nord di viale Cavriga, formalmente ancora di proprietà dell'Opera Nazionale Combattenti. Verso la metà degli anni trenta, in seguito ai gravi incidenti automobilistici che si verificavano all'autodromo, cominciarono pesanti interventi di adeguamento e messa in sicurezza del tracciato, accompagnati da polemiche riguardanti i massicci diboscamenti che si rendevano indispensabili ad ogni revisione del tracciato.

Nel 1958 si assistette ad un'ulteriore ampliamento dell'impianto golfistico, con la creazione di un campo a ventisette buche e la realizzazione di una nuova club house, ad opera dell'architetto Luigi Vietti. Nel 1976 cadde in disuso l'ippodromo, e nel 1990 un incendio distrusse ciò che rimaneva delle tribune in legno, in seguito demolite insieme alle stalle. Sempre negli anni settanta ripresero le polemiche da parte degli ambientalisti, quando nuove modifiche alla pista dell'autodromo, eseguite per ragioni di sicurezza, richiesero il taglio di nuovi alberi. Vennero inoltre costruiti i nuovi box, in deroga ai vincoli ambientali sul Parco. Gruppi ambientalisti si mobilitarono e tentarono di bloccare i lavori. La situazione si ripeté nel 1994-'95, quando l'ampliamento delle vie di fuga di alcune curve richiedeva il taglio di circa 500 alberi. Si trovò alla fine un compromesso che ridusse il numero a circa 100, con modifiche alle curve interessate per ridurne le velocità di percorrenza.

Anche il campo da golf è oggetto di pesanti critiche da parte degli ambientalisti e del pubblico in generale, che ritengono ingiusto che un'area pari a circa un settimo del Parco sia assegnata in concessione esclusiva ad un circolo privato (il Golf Club Milano) che conta circa solo 900 soci, impedendo ad altri visitatori l'accesso. Tra il 1995 e il 2006 sono state fatte due petizioni per la chiusura dell'impianto.

Il decreto del 14 settembre 1805 consentì l'acquisizione dei terreni prescelti per la formazione del Regio Parco, al tempo appartenenti ai Comuni di Monza, Vedano al Lambro e Biassono. L'originaria dislocazione dei confini seguiva la disposizione degli appezzamenti di terreno e delle relative proprietà, risalenti sostanzialmente al Catasto Teresiano. Dopo la realizzazione del Parco e la risistemazione del verde, coi viali prospettici e il distinguo fra le aree boschive e le aree agricole, si rivelò impossibile individuare i confini originali delle suddivisioni catastali. In virtù di ciò, già dal 1872 si pensò ad una rettifica dei confini, di modo che fossero più facilmente individuabili. I nuovi confini rettificati furono ufficializzati soltanto in data 24 febbraio 1899, alla presenza delle Commissioni censuarie, delle Giunte Municipali dei comuni interessati, oltre che degli ingegneri Luigi Tarantola per la Real Casa e Emilio Rigatti per il Catasto. Dal verbale redatto, si evince come il confine fra Biassono e Vedano al Lambro partendo dalla sponda destra del Lambro proseguisse per il viale della Fagianaia, passando per il viale dei Platani (parallelamente quindi al viale dei Cervi e al viale del Serraglio, andando ad incontrare il viale delle Noci e continuando fino al muro di recinzione del Parco, da cui riprendeva il tracciato storico costeggiando il parco di Villa Litta Bolognini Modigliani.

In quest'occasione la frazione della Santa cercò senza successo di distaccarsi dal Comune di Monza per unirsi a quello di Villa San Fiorano. In risposta, Monza chiese l'annessione della stessa Villa San Fiorano. La situazione rimase invariata, pur continuando ad alimentare un certo dibattito e risentimento tra le popolazioni dei comuni interessati. Nel 1924 La Santa rinnovò le proprie richieste, trovando questa volta una risposta ben più dura da parte di Monza, il cui Commissario Prefettizio in data 1º agosto 1925 chiese non solo l'annessione di Villa San Fiorano, ma anche di Vedano al Lambro e di Biassono. La forte opposizione intentata dapprima solo da Villa San Fiorano e Biassono, in un secondo tempo anche da Vedano al Lambro, parallelamente alla ricostituzione di un'amministrazione comunale anche a Monza, dopo il periodo di commissariamento durante il quale erano maturate le richieste, portarono a un ridimensionamento di queste, che si limitavano ora alla sola acquisizione dei terreni interni al Parco. Anche le nuove richieste monzesi furono contestate sia da Biassono che da Vedano, ma avrebbero trovato attuazione nel successivo Regio Decreto del 29 novembre 1928, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del Regno il 7 gennaio 1929, che sanciva l'incorporazione del Regio Parco al Comune di Monza da cui veniva distaccata la frazione della Santa che veniva assegnata al Comune di Villa San Fiorano nella nuova municipalità di Villasanta. Tale decreto entrò in vigore ufficialmente il 23 gennaio 1929.

Storicamente erano attestate, grazie all'opera di Luigi Villoresi, numerose specie vegetali, sia autoctone, sia esotiche; al tempo erano addirittura attestate 43 specie di Quercus, 30 di Fraxinus, 22 di Prunus e 16 di magnolia. Al giorno d'oggi, pur aver perso gran parte dell'originaria fisionomia, il Parco conserva una buona varietà arborea, particolarmente significativa e importante, se contestualizzata nel panorama quasi interamente urbanizzato di Monza e dei comuni subito a nord di quest'ultima. Particolarmente significativa inoltre la presenza del Bosco Bello, una delle ultime testimonianze delle antiche foreste di pianura presenti in Lombardia, circoscritta tuttavia nell'area nord del Parco, ripetutamente compromessa per via dell'Autodromo e dei relativi continui interventi di diboscamento.

Fra le specie più caratteristiche e maggiormente diffuse nel parco si citano il Carpino bianco (Carpinus betulus), l'Ippocastano (Aesculus hippocastanum), il Liriodendro (Liriodendron tulipifera), varie specie di Platano, il Ciliegio selvatico (Prunus avium) e il Tiglio (Tilia cordata); fra gli arbusti il Biancospino (Crataegus monogyna), il Corniolo (Cornus mas) e l'Evonimo (Euonymus europaeus).

Cessata la funzione di riserva reale di caccia e la successiva di tenuta agricolo modello, il Parco vanta attualmente un discreto numero di specie animali spontanee, ai quali vanno aggiunte le specie allevate, in particolar modo bovine (Mulini San Giorgio) ed equine (Mulini San Giorgio e Cascina Cernuschi). Uno studio condotto da ricercatori dell'Università di Pavia unitamente al Museo di storia naturale di Milano hanno individuato una sorprendente varietà di mammiferi, uccelli, rettili, anfibi e pesci, che contribuiscono ad aumentare sensibilmente l'importanza e il valore di quest'area verde.

La fauna del Parco è costituita per la maggiore dallo scoiattolo rosso (Sciurus vulgaris), dalla lepre europea (Lepus europaeus), dal ghiro (Glis glis), dalla talpa europea (Talpa europaea), dalla volpe rossa (Vulpes vulpes), dal coniglio selvatico (Oryctolagus cuniculus) e dal riccio comune (Erinaceus europaeus), per quanto riguarda i mammiferi; dal picchio rosso maggiore (Dendrocopus major), dal picchio verde (Picus viridis) e dal picchio muratore (Sitta europea), per quanto riguarda i picchi, dall'anatra mandarina (Aix galericulata), dal germano reale (Anas platyrhyncos), dalla nitticora (Nycticorax nycticorax), dal martin pescatore (Alcedo atthis) e dall'airone cenerino (Ardea cinerea), per quanto riguarda gli uccelli acquatici, dalla poiana (Buteo buteo), dall'allocco (Strix aluco), dal gufo comune (Asio otus), nei mesi invernali dal gabbiano (Laridae), dalla civetta (Athene noctua) e dal gheppio (Falco tinnunculus), per quanto riguarda gli uccelli rapaci; dal ramarro (Lacerta bilineata) e dal colubro d'Esculapio (Elaphe longissima), per quanto riguarda i rettili; dalla rana di Lateste (Rana latastei), dal tritone crestato italiano (Triturus carnifex) e dal rospo smeraldino (Bufo viridis), per quanto riguarda gli anfibi; dalla carpa comune e dal cavedano, per quanto riguarda i pesci.


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