giovedì 5 marzo 2015

LA BATTAGLIA DI SAN MARTINO

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La battaglia di San Martino avvenne contemporaneamente alla battaglia di Solferino, ma viene ricordata con il nome del centro di San Martino, nei dintorni del quale si svolse, in quanto quella parte del fronte era completamente affidata all'esercito del regno di Sardegna, sotto il comando del re Vittorio Emanuele II.

L'esercito franco-sardo, dopo la battaglia di Magenta, superò un breve scontro a Melegnano e continuò l'inseguimento. Lo scontro sulle alture moreniche a sud del lago di Garda fu quasi casuale, senza un piano ben determinato: non c'era soprattutto l'avvertenza di trovarsi di fronte al grosso dell'esercito austriaco. L'esercito francese si scontrò a Solferino (a metà strada fra Mantova e Brescia), mentre quello sardo incontrò il contingente austriaco presso San Martino. Due divisioni dell'esercito sardo, quella di Mollard e quella di Cucchiari, vennero ad impattare con il VIII Corpo d'armata del generale Benedek, il quale respinse le avanguardie di Mollard e si schierarono sul bordo esterno dell'altipiano di San Martino.

Le colline a nord di Pozzolengo non formano una cresta collinare, ma un vasto altipiano il cui punto dominante è costituito da un gruppetto di case denominate Casette Citera. Sul bordo esterno dell'altipiano edifici colonici quali la Cascina Contraccania, il Roccolo e la chiesetta di San Martino formavano eccellenti appigli tattici per le truppe austriache. Vale la pena notare che la perdita di uno di questi punti non comprometteva la tenuta dell'altipiano, in quanto solo la conquista di Casette Citera, circa cinquecento metri a sud, garantiva la tenuta delle nuove posizioni. Senza ricognizioni e senza concertare manovre di più vasto respiro Mollard decise di prendere d'assalto le posizioni avversarie.

In breve i comandanti di divisione persero la visione d'insieme della battaglia e le Brigate sarde furono lanciate in assalti frontali senza il necessario appoggio d'artiglieria. Mancò inoltre non solo una buona coordinazione interarma, ma anche i reparti di Bersaglieri e di fanteria di linea non riuscirono a manovrare gli uni in appoggio degli altri. Infine l'assenza di una catena di comando fece sì che i comandanti di divisione dell'armata sarda si ostacolassero tra loro, non accettando ordini da altri parigrado. Mentre a Solferino i combattimenti proseguirono fino a quando un violento temporale interruppe la lotta (iniziata alle prime luci del giorno), sui colli di San Martino, la battaglia cessò soltanto a sera. Lo scontro fu così feroce e cruento che l'esercito vincitore non ebbe la forza di inseguire quello sconfitto in fuga, il quale riparò oltre il Mincio.

La tradizione sabauda esaltò la battaglia di San Martino, anche perché combattuta con grande animo, anche dopo la fine dei combattimenti a Solferino. Celebre la frase attribuita a Vittorio Emanuele: «Fioeui, ò i pioma San Martin ò i'aoti an fan fé San Martin a noi!» (Figlioli, o prendiamo San Martino, o i nostri avversari ci obbligheranno a "fare San Martino").

Nonostante il contingente sardo fosse numericamente superiore a quello austriaco (22.000 Sardi contro 20.000 Austriaci), un divario in buona parte compensato, tuttavia, dalla forte posizione difensiva austriaca, le truppe dell'imperatore Francesco Giuseppe respinsero con fermezza gli attacchi dell'esercito di Vittorio Emanuele II, favoriti da una migliore conoscenza del terreno di battaglia, del quale Benedek seppe ben avvalersi. L'attacco, per quanto audace - le fanterie sarde attaccarono per un'intera giornata con grande coraggio e spirito di sacrificio sotto un fuoco micidiale - fu condotto in modo rigidamente frontale e senza determinanti tentativi di aggiramento della fortissima posizione austriaca. Gli austriaci abbandonarono le posizioni di San Martino solamente dopo aver ricevuto l'ordine dell'imperatore di ripiegare, ritirandosi in relativo buon ordine oltre il Mincio e nella fortezza di Peschiera, lasciando l'Armata Sarda padrona del campo di battaglia.

Nella giornata che aveva visto contrapporsi ferocemente l'armata sarda all'VIII Corpo d'armata austriaco, quest'ultimo ebbe 2.536 uomini fuori combattimento (tra morti, feriti, dispersi o prigionieri), mentre i sardi accusarono la perdita di 5.572 uomini fra morti e feriti. Un bilancio solo apparentemente incongruente per quella che venne propagandata dalla retorica risorgimentale come una grande vittoria, ma chiaramente spiegabile, com'è stato recentemente dimostrato, proprio in funzione della tipologia di attacco adottata, che trova numerosi confronti, in particolare in termini di perdite, con altre numerose azioni di questo tipo documentate in vari conflitti coevi, soprattutto nel corso della di poco posteriore Guerra Civile Americana.

Il desiderio di Cavour di continuare da solo la lotta si scontrò contro la dura realtà e il Regno di Sardegna fu costretto ad accettare l'Armistizio di Villafranca dell'8 luglio, trattato da Napoleone III in plateale violazione degli accordi franco-piemontesi precedenti la guerra. I preliminari di pace furono stabiliti fra Napoleone III e Francesco Giuseppe l'11 luglio, e sulla base di questi il Regno di Sardegna riceveva la Lombardia attraverso le mani francesi.


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